• lunedì , 23 Dicembre 2024

Imprese e lavoro una scossa salutare

Per la prima volta firmatari e non firmatari di un contratto non saranno sullo stesso piano, perchè la firma ha un valore Maurizio Sacconi ministro del Welfare L’ obiettivo dei salari «tedeschi» e il «modello Di Vittorio» Una scossa sulla strada per Detroit che fa bene a imprese e lavoro.
Siamo entrati nell’ epoca delle relazioni industriali globalizzate e gli italiani non sanno ancora bene come muoversi. La nostra tradizione ha saputo garantire coesione sociale (si è parlato addirittura di una «Costituzione materiale») a un Paese che resta politicamente rissoso, ma ha avuto il difetto di portarci spesso a tematizzare le stesse relazioni industriali come fossero una sorta di scienza del consenso. Massimizzare la cooperazione quasi a prescindere dagli obiettivi. Lunghi tavoli con tanti commensali a cui servire però misere portate. Sergio Marchionne la pensa diversamente e di certo non appartiene alla nobile schiatta dei concertatori. Per lui le relazioni sindacali sono strettamente funzionali al raggiungimento degli obiettivi di mercato e all’ ottimizzazione dell’ organizzazione del lavoro. La disputa sui modelli, americano o tedesco o italiano, la lascia volentieri a noi, inguaribili catalogatori dell’ universo-mondo. Per l’ amministratore delegato della Fiat il discorso è molto semplice. Per salvare l’ industria italiana dell’ auto, per evitare che nel Belpaese si producano solo vestiti, mobili e prosciutti, non ci sono due strade. Ce n’ è una sola. Passa attraverso Detroit e il combinato disposto che vede mobilitati la Casa Bianca e l’ azionariato dei sindacati americani. E continua attraverso un sistema di rapporti di lavoro che, costruito in connessione con i target aziendali, non sia ideologico. In virtù di quest’ approccio Marchionne appare l’ unico dotato di una proposta. Per dirla con il Censis, non sembra aver perso il desiderio. Ed è proprio questa vitalità che apre una prospettiva nuova a Torino (non si può vivere anni nel ricordo delle Olimpiadi!) e a Mirafiori, la cattedrale del nostro industrialismo,chiamata a misurarsi con la nuova organizzazione del lavoro che va sotto il nome di World Class Manufacturing. Il disegno di Marchionne non sarebbe mai passato però senza l’ appoggio di Cisl e Uil e va riconosciuto a Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti – che pure sono figli della liturgica tradizione italiana – il coraggio di scommettere sul nuovo. Di cercare di adeguare la cultura sindacale italiana alla globalizzazione del lavoro. Perché portare la contrattazione più a ridosso della fabbrica non vuol dire automaticamente “servire il padrone”. Può essere il presupposto della discontinuità, come nella storia del sindacato è avvenuto tante volte. Cosa fece Giuseppe Di Vittorio nel ‘ 55, dopo la sconfitta della Cgil nelle elezioni per la commissione interna, se non ripartire dal basso? Perché, allora, non prendere in parola Marchionne che ha parlato di salari “tedeschi” e ha già dimostrato di volerli aumentare? E perché non costruire i presupposti di un welfare aziendale che prenda spunto dall’ esempio di Luxottica e magari lo migliori? La Fiom, per ora, si è posta fuori da questo gioco. L’ impressione è che il suo gruppo dirigente nazionale (più di quello torinese) insegua altri progetti, sia focalizzato sull’ esigenza di organizzare un’ opposizione politico-sociale al berlusconismo e non abbia voglia di innovare i ferri del mestiere. Sa che nell’ epoca del lavoro globale svecchiare non è un pranzo di gala. Meglio, dunque, l’ Aventino. E’ evidente che lo scossone di Marchionne non si ferma ai cancelli di Mirafiori e neppure alla sola geografia dei rapporti inter-sindacali ma investa in pieno la Confindustria. Finora la dialettica con Marchionne è stata eminentemente tattica, momenti di intesa si sono alternati a incomprensioni, ma superato lo scoglio di Mirafiori verrà, anche per l’ associazione degli industriali, il tempo della riflessione. Dai luoghi della contrattazione ai metodi della rappresentanza c’ è ampia materia per innovare. Gli antichi dicevano “oportet ut scandala eveniant”, noi tradurremmo: “E’ bene che ogni tanto qualcuno rompa gli schemi”.

Fonte: Corriere della Sera del 24 dicembre 2010

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