Nel disastro di Taranto hanno perso tutti, proprietà, amministrazione locale, stato nelle sue varie articolazioni. Per distinguere le varie responsabilità di un simile disastro, bisognerà aspettare i processi, penali e civili: anni e anni. Intanto lo stallo costa, in soldi e in consensi: con lintervento deciso, il governo ridurrà forse le emorragie, ma noi rischiamo di smarrire tra interventi provvisori, soluzioni ponte, approdi finali la visione complessiva di quanto si è finora perso e perché. Farlo perbene richiederebbe di entrare nel merito dei giudizi di un magistrato, il cui operato non è stato giudicato esorbitante o illegittimo dagli organi di autogoverno della magistratura. Per cercare di fare una sorta di screenshot della situazione attuale, utile a giudicare le scelte che si faranno, cè una strada: tornare indietro a un tempo precedente a quello dellordinanza del magistrato, riportare cioè la questione Ilva allinterno del quadro generale in cui essa si colloca fin dalla sua fondazione.
La natura è ciò che resta dopo aver soddisfatto tutte le esigenze umane, scrive Lewis Baltz, il grande fotografo-artista vissuto tra Venezia e la California. Le industrie consumano ambiente. Lo consumò lIlva come terreno quando fu deciso di localizzarla in quel luogo, lo consumò, come emissioni durante i 35 anni di proprietà pubblica e i 15 di proprietà privata. 15 anni in cui la proprietà investì in protezione ambientale una quota importante degli investimenti totali, questi a loro volta superiori agli utili. Le industrie soddisfano esigenze: esigenza è il lavoro. Lavoro e ambiente sono due beni costituzionali, quindi necessariamente bilanciati tra loro. Dopo che per oltre mezzo secolo si sono protratti consumo di ambiente e creazione di lavoro, i problemi che sorgono sono collettivi, riguardano lintera comunità, vanno quindi risolti con il coinvolgimento di tutti, autorità locali, poteri centrali, proprietà. Col progredire della coscienza ambientale, aumenta la richiesta di re-internalizzare i costi: nel caso dellIlva questa si traduce in una nuova Aia del costo stimato in 1,8 miliardi, che il governo regionale ha voluto più severa e quindi più costosa di quella europea. Non sono questi i soli soldi che si devono mettere per fare ripartire lIlva: si devono anche riparare gli impianti danneggiati (gli altiforni vanno quasi rifatti), si deve ricostituire il circolante consumato (anche per pagare i fornitori); si stima che il relativo capitale da mettere in azienda sia dellordine di 2,5 miliardi. 1,8 e 2,5? Poco conta lesattezza, limportante è tenere distinte le due cifre, quella per lAia e quella per il funzionamento. Ladeguamento alle nuove norme la deve mettere chiunque voglia far ripartire Taranto. Laltra somma corrisponde ai danni che si sono prodotti per non avere riconosciuto fin dallinizio la natura pubblica del problema, e quindi la necessità di affrontarlo insieme a tutte le parti interessate, in primo luogo insieme alla proprietà, attuando un piano ragionevolmente scadenzato, tenendo cioè conto, accanto allurgenza di ciò che si deve fare oggi anche i decenni in cui non si è fatto abbastanza.
Unazienda vale i flussi di cassa futuri, nellattualizzazione quelli a breve pesano di più, e oggi nella siderurgia sono molto bassi o negativi. Se nessuno, né lattuale proprietà né un nuovo acquirente, fosse disposto a prendere in mano lazienda pagando il costo dellAia, non cè nessuna ragione per pensare che lo stato (la Cdp poniamo) possa far meglio di unazienda del settore: in tal caso vorrebbe dire che lItalia non è più il posto adatto a fare acciaio. Del tutto diverso è il discorso per il costo a fronte delle perdite che si sono prodotte a seguito dellintervento della magistratura. Se il valore aziendale che un compratore è disposto a riconoscere non arrivasse a coprirle, lo stato avrebbe interesse a pagarle per far ripartire limpianto: ma questo non vuol dire che avrebbe interesse a farsi azionista e rilevare lintera azienda, obblighi Aia compresi. Quei soldi sono bruciati per sempre, è unillusione pensare di recuperarli producendo acciaio. Il guadagno eventuale remunererebbe il rischio dellinvestimento, e non cè nessuna ragione per pensare che Cdp guadagnerebbe di più facendo lacciaio che non investendo in uno degli altri settori in cui opera, con conoscenze e con profitto.
Questo è uno conto ipersemplificato: ma serve ad annotare alcune cifre da non dimenticare quando, un giorno o laltro, si dovrà spiegare che cosa è accaduto, o meglio non è accaduto a Taranto. Dove oggi invece cè incertezza su tutto: sul ciclo produttivo, sul combustibile da usare, sulle condizioni operative, perfino sul modello di business. Oggi a Taranto non ci sono le condizioni base per fare un piano operativo: e quindi lo stato appare lunico in grado di farsi carico dellincertezza, e di negoziare compromessi. Questo è il vero rischio che corriamo oggi a Taranto: far fare allo stato il siderurgico di ultima istanza. Povero Sinigaglia!