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Il traguardo del Professore

Un traguardo cruciale è ancora da raggiungere, per Mario Monti. Il risanamento dei conti pubblici deve culminare in un deficit inferiore al 3% del prodotto lordo quest’anno.
Solo con questo traguardo la Commissione europea potrà chiudere la «procedura per disavanzo eccessivo» nei confronti dell’Italia. Secondo le ultime previsioni resta possibile arrivarci appena appena, grazie al gettito dell’Imu.
Il prezzo è stato pesante. Ma le privazioni portate dall’austerità modello Monti vanno comparate a ciò che sarebbe successo senza; benché sia difficile immaginarselo. L’Italia non è la Grecia anche nel senso che è troppo grande per essere salvata. Una dichiarazione di insolvenza italiana, tipo quella dell’Argentina undici anni fa, sarebbe stata possibile durante l’inverno 2011-2012. Avrebbe causato uno shock finanziario di dimensioni planetarie e probabilmente la rottura dell’euro.
La storia degli ultimi dodici mesi è risultata diversa per un intrecciarsi di contributi. Senza la correzione di rotta apportata da Mario Monti in Italia, nell’estate Mario Draghi non avrebbe potuto fermare la crisi dell’euro con il consenso di Angela Merkel. A sua volta, la nuova linea di condotta della Bce ha evitato che gli sforzi compiuti dall’Italia fossero resi vani.
La traiettoria dello spread racconta in parte questa storia, dal massimo storico di 574 punti il 9 novembre 2011, alla discesa sotto i 300 in marzo, al nuovo picco di 537 il 24 luglio prima delle dichiarazioni di Draghi a Londra, ai 363 di ieri. Consente di isolare meglio i timori per un collasso a breve termine dell’Italia il tasso medio sui BoT, sceso dal 6,5% del novembre 2011 all’1,5% attuale.
Quanto ai conti pubblici, è noto che quest’anno toccheremo un nuovo record della pressione fiscale (anche altrove aumenta, la Francia non si è fatta sorpassare) per poi stabilirne uno più alto ancora nel 2013. Ma non solo di tasse erano composte le manovre: e probabilmente a fine 2012 questo governo potrà vantare di essere stato il primo da molti decenni a fermare le spese, mantenendole su una cifra suppergiù uguale a quella del 2011.
Dall’estate in poi, l’iniziativa dei tecnici è sembrata infiacchirsi. Perfino nella lotta all’evasione fiscale, uno dei cavalli di battaglia di Monti, poco di nuovo si è aggiunto a quanto era stato fatto prima; il gettito tributario va bene, senza però fornire chiari segni di una svolta nei comportamenti. La legge di stabilità per il 2013, spiaciuta alle forze sociali prima che ai partiti, è stata riscritta dal Parlamento senza che ne uscisse un messaggio più chiaro.
Il negoziato sulla produttività, partito senza obiettivi chiari, di per sé difficile date le differenti strategie politiche di Cgil e Cisl, i differenti interessi di industriali e banchieri, rischia di concludere poco. Come già nella riforma del mercato del lavoro, non si distingue se la priorità sia facilitare la trasformazione e l’innovazione oppure erodere per vie traverse il costo del lavoro.
Alla fine, è la crescita economica che manca. Non è un problema solo italiano, in questa crisi; in Italia è più grave. Tutte le ricette fin qui sperimentate mostrano i loro limiti. Nella dottrina Monti prevale quella liberale delle riforme di struttura, la più accreditata nel mondo; siccome è lenta a dare frutti, incontra resistenze enormi.
Pur nell’evidenza di questi limiti, Monti conserva a tutt’oggi nel mondo l’immagine di un leader di primo piano (Gegenspieler di Angela Merkel in Europa, ovvero antagonista, avversario nel gioco, secondo il quotidiano tedesco Die Welt). In concreto, gli viene dato merito soprattutto della riforma delle pensioni, che ha reso la previdenza italiana una delle più stabili nella prospettiva futura. Demolirla dopo il voto sarebbe una via rapida per ripiombare nei guai; come lo sarebbe ridimensionare l’Imu, principale strumento per risanare i conti.

Fonte: La Stampa 11 novembre 2012

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