La relazione del debutto di Ignazio Visco nella nuova veste di governatore della Banca dItalia si è segnalata innanzitutto per la netta cesura rispetto al metodo adottato negli anni passati. Eravamo abituati ad uno schema nel quale le Considerazioni finali rappresentavano il punto di incontro tra lelaborazione delle élite e le esigenze del Paese reale.
Un magistero che si incaricava di spiegare le vere condizioni di salute delleconomia, metteva a nudo ritardi ed omissioni della politica e, infine, elencava le principali terapie da adottare per tentare di rilanciare lAzienda Italia. Visco invece ha scelto da subito la discontinuità, ha voluto porre termine a una sorta di supplenza intellettuale che palazzo Koch aveva esercitato negli anni passati e ha preferito che anche le Considerazioni, in qualche maniera, si normalizzassero.
Che perdessero del tutto il tono della predica. Ha fatto bene. Leccezionalismo non è una ricetta per il lungo periodo e tra i difetti nazionali che ci portiamo dietro non cè solo la perdurante ipertrofia della politica, esistono anche sovrapposizioni e supplenze tra istituzioni che alla fine non giovano alla causa comune.
Se sul piano del metodo Visco, dunque, ha pienamente ragione, nel merito invece avrebbe potuto essere più incisivo. Negli anni caratterizzati dal protagonismo politico di Silvio Berlusconi e da un ampio consenso attorno alla sua figura la Banca dItalia non aveva lesinato critiche, senza aver alcun timore di cadere nel delitto di leso governo.
Perché invece nei confronti di un esecutivo tecnico, come quello guidato da Mario Monti, Visco è stato così poco incalzante? Solo per limitarsi a un esempio, il governatore non ha nemmeno citato la riforma del lavoro approvata poche ore prima dal Senato dopo numerosi cambiamenti e mal di pancia.
E ancora: si parla in queste ore di un pacchetto crescita in avanzata fase di gestazione a palazzo Chigi ma nemmeno in questo caso Visco ha sentito la necessità di focalizzare il tema o di valutare limpatto dei provvedimenti in discussione rispetto alleconomia reale. Eppure non si sarebbe trattato, come in passato, di una polemica serrata tra Via Nazionale e Palazzo Chigi bensì di un confronto costruttivo tra due economisti legati da un comune alfabeto e da reciproca stima.
I passaggi che il governatore ha dedicato allEuropa sono stati molto apprezzati dal pubblico per il rigore analitico e lautentico spirito comunitario ed è sicuramente da condividere il rimprovero, rivolto a tutti noi, di non aver saputo approfittare pienamente di due condizioni di vantaggio apportate dalleuro: la stabilità dei prezzi e i bassi tassi di interesse. Quanto alle banche non si può dire che Visco non le abbia difese.
E vero che le ha invitate a snellire larticolazione societaria, a diminuire il numero delle sedie dei consigli di amministrazione e a intervenire sul costo del lavoro ma il governatore, prima di ogni altra cosa, è parso farsi carico del malessere e dei rischi di demotivazione che attraversano i gruppi dirigenti bancari.
Dal suo autorevole scranno li ha assolti dallaccusa di aver chiuso i rubinetti, di aver fatto mancare risorse alleconomia reale e quando ha puntato il dito sul peggioramento della qualità del credito ha individuato quasi esclusivamente cause esogene alla banca.
Ma, pur senza voler tornare alle polemiche sul credit crunch e sulluso della liquidità Bce, siamo proprio sicuri che si stiano facendo i necessari passi in avanti nellindividuazione del merito di credito delle imprese? E si può affermare che le banche stanno progredendo significativamente nella lettura delle trasformazioni dei territori e nellapprontamento degli strumenti più adeguati? Vorremmo tanto rispondere di sì.
Il silenzio del Governatore sulla riforma del lavoro
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