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Il rifiuto del falco

Stark lascia in polemica con gli interventi della Bce sul mercato secondario.Borse e spread tremano.Ma forse è un’opportunità.
Juergen Stark, membro del board e capo economista della Bce, si e’ dimesso. Lo comunica la Bce in una nota specificando che Stark ha informato il presidente dell’Eutotower, Jean Claude Trichet, che “per ragioni personali” rassegnera’ le dimissioni “prima della fine del suo incarico” previsto il 31 maggio 2014. Stark restera’ al suo posto finche non sara’ nominato un successore che, spiega la Bce, in base alla procedura di nomina, avverra’ entro la fine di quest’anno.
E’ il primo gran rifiuto dell’Eurozona. Juergen Stark, membro del comitato esecutivo e del Consiglio direttivo della Bce, ha deciso di lasciare l’Eurotower «per motivi personali» sui quali non c’è ombra di mistero. Fedele all’ortodossia rigorista che dal disastro del pane a un milione di marchi del primo dopo guerra, e dunque dalla repubblica di Weimar, ha ispirato le menti dei banchieri centrali tedeschi, Stark sbatte la porta in pieno dissenso con la deriva «solidaristica» che ha visto protagonista la Banca centrale europea negli ultimi mesi. Solo in agosto, spendendo diverse decine di miliardi di euro, l’istituto guidata da Jean Claude Trichet ha comprato Btp nazionali e buoni iberici, cercando di evitare il tracollo della Repubblica italiana e del Regno di Spagna.
Stark si è sempre espresso contro. Non è il mandato della Bce, ha detto in diverse occasioni. Il che è vero. La banca deve perrispettare i Trattati garantire la stabilità monetaria, dunque gestire il tasso di interesse per mantenere l’inflazione intorno al 2 per cento.
Questo, però, era il vecchio mondo. Quello della moneta unica senza governo della moneta unica che le crisi greche e successive hanno reso obsoleto. Ormai è chiaro che non si può avere l’euro senza un referente che armonizzi le politiche che lo concernono. L’Europa ha avviato un processo che punta in questa direzione creando anche una sorta di Fondo monetario europeo (Efsf) che sarà in funzione – si spera – dall’anno prossimo. Ha integrato le strategie fiscali e tenta anche di far convergere quelle macroeconomiche. Nell’attesa deve e fare quello che può. E per evitare che la barca dell’euro affondi, ha usato la Bce. Non è bello, ma non c’era scelta. L’alternativa era il disastro.
Il falco Juergen Stark non sembra averlo digerito lo stesso. Una parte dominante dell’opinione pubblica e della classe politica tedesca si è ostinata a tenere dura la barra del dogma rigorista. La conseguenza è stata che la cancelliera Merkel è arrivata costantemente in ritardo sui tempi delle crisi e ne ha aumentato i costi. «Se avessimo salvato Atene nel dicembre 2009 oggi saremmo a posto e il conto sarebbe chiuso», ripete sempre l’ex premier belga, Guy Verhofstadt. ha ragione. Lo dimostra il fatto che oggi l’Ue sta accettando cose che un anno fa erano considerate tabù. Berlino ha una responsabilità clamorosa in questi ritardi.
Stark non riusciva ad accettarlo. Forse non è estranea alla decisione la lunga battaglia anti Mario Draghi combattuta dai tedeschi con toni e acrimonia non giustificata. Getta la spugna e fa tremare quella fetta dei mercati che teme un’Europa che si conceda al lassismo. Non è il caso, questo. L’Ue vuole il rigore. Fa quello che può con quello che ha. Sarebbe stato meglio dotarsi degli strumenti adatti in fretta e cavalcare l’onda anomala. Stark e gli altri lo hanno impedito. Così il suo addio, che le borse e gli spread stanno pagando, potrebbe anche essere una opportunità di progresso. C’è un voto negativo in meno contro chi vuole dare all’Europa un vero governo moderno e solidale, flessibile e severo, attento alle regole e duro nel farle rispettare. Per evitare che la paura di un Weimar lontana ci costringa a vivere un’altra Weimar nel XXI secolo.

Fonte: La Stampa del 9 settembre 2011

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