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Il primato resta alla politica

Del compromesso sulla riforma del Patto di stabilità raggiunto nelle riunioni di oggi non sono noti tutti i dettagli (e parecchi devono ancora essere definiti), ma il senso sì: le decisioni sulle sanzioni da infliggere a chi non rispetta le regole sui conti pubblici restano più nelle mani dei politici che dei tecnocrati della Commissione. Le sanzioni non scatteranno in automatico, come voleva inizialmente la Germania e altri Stati nordeuropei, sostenuti dalla Commissione e dalla Bce. In prima battuta dovranno essere approvati dai capi di Stato e di governo, e solo se dopo sei mesi il paese interessato non ha fatto nulla per rimettersi in linea entrerà in azione l’automatismo. Che può essere comunque bloccato se esiste una maggioranza qualificata, ancora una volta a livello politico, che lo decide.
Dei politici non si parlerà mai abbastanza male, ma di qui ad affidare i destini della politica economica di un paese solo nelle mani dei tecnocrati, che non devono presentarsi ai cittadini elettori, ce ne corre. Perché anche i tecnocrati non sono “neutrali”, sono seguaci di teorie economiche che non sono la verità rivelata; e l’Unione europea non può essere come la Chiesa il cui capo è dichiarato infallibile.
Inoltre nell’esame della “divergenza” dai parametri stabiliti entreranno – giustamente – tutta una serie di valutazioni su vari fattori: “i livelli del debito e la sua dinamica, la struttura delle scadenze, la denominazione in valuta, le riserve così come le passività implicite ed esplicite”, si dice in un documento discusso oggi dall’Ecofin. Valutazioni, appunto: quando si valuta è implicita una certa discrezionalità, che può essere affidata solo a chi poi ne deve rispondere agli elettori.

Fonte: Repubblica del 18 ottobre 2010

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