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Il popolo delle partite Iva deluso anche dai “tecnici”

Da retroterra di Tremonti al voto per Pisapia.E ora,in piena crisi, chiedono tutele.
Il mondo delle partite Iva aveva guardato con grande attenzione e qualche speranza al governo tecnico. Le prime esternazioni del ministro Fornero su grande Inps, chiusura della gestione separata e liberalizzazioni avevano fatto pensare a una svolta universalistica e a una riduzione del potere di intermediazione dei tradizionali soggetti di rappresentanza. Come accade spesso la realtà si è rivelata più amara. Il governo non può fare a meno del negoziato con Cgil-Cisl-Uil/Confindustria e dentro una logica di scambio è ovvio che qualcosa si lascia e qualcosa si prende. Ma almeno da un punto di vista simbolico Fornero avrebbe potuto aprire il tavolo alle associazioni delle partite Iva, eppure non l’ ha fatto. La storia del boom del lavoro autonomo in Italia ancora non è stata scritta ma all’ inizio tra le prime partite Iva ci furono molti ex dipendenti delle grandi imprese, che per effetto dei primi processi di outsourcing si mettevano in proprio avendo in portafoglio clienti e professionalità. Da un punto di vista sociologico realizzavano una forma di mobilitazione individuale e da un punto di vista culturale si misuravano direttamente con il mercato e il rischio. Sono stati loro la vera novità dell’ Italia di fine Novecento, eppure ebbe più riconoscimento il movimento (effimero) di Luigi Arisio e dei 40 mila di Torino. Se ragioniamo in termini di rappresentanza politica l’ emergere di un nuova tipologia di lavoro autonomo si è incrociato con la riorganizzazione del centrodestra italiano e con la sua iniziale capacità di farsi portavoce di «una rivoluzione liberale». Di un reaganismo silenzioso che qualcuno chiamò «capitalismo personale». Giulio Tremonti è stato sicuramente la figura politica che si è posta con maggiore continuità come interlocutore del popolo delle partite Iva e nei suoi discorsi si possono rintracciare numerose citazioni a proposito. È stato lui a quantificare il fenomeno in 8 milioni di persone e a dargli quindi una vera consistenza politica, a farlo sentire centrale nella formazione degli equilibri socioeconomici del Paese. I dati bruti segnalano aumenti significativi delle iscrizioni già attorno ai primi anni 2000 quando dall’ outsourcing «dolce» si passa alle prime profonde e dure ristrutturazioni delle grandi imprese. La fabbrica diventa via via orizzontale e prende la forma della filiera, di cui le partite Iva sono l’ ultima propaggine. Questo mutamento avrebbe avuto bisogno però di trovare uno sbocco, di evolvere verso una via italiana al terziario moderno ma davanti a un hic Rhodus, hic salta , alla necessità di una discontinuità culturale, si sono viste le debolezze programmatiche e di visione del centrodestra italiano. Che ha dimostrato di considerare il nuovo lavoro autonomo come un mero bacino di voti e non di competenze. E che non ha favorito una ricomposizione dei due mondi, quello delle professione liberali tradizionali e quello della nuova consulenza. La Grande crisi ha fatto il resto, ha accelerato vorticosamente processi che erano già in moto. Ha rafforzato la partita Iva in quanto contenitore di professionalità incerte, il lavoro autonomo ha cominciato a popolarsi di migliaia di qualcosisti (copyright di Giuseppe De Rita), spesso studenti che avevano interrotto l’ università o avevano conquistato lauree deboli. Si è creata così una «bolla» del mercato del lavoro che abbiamo visto confermata dai dati del primo bimestre 2012. Ci si iscrive alla partita Iva perché non si hanno alternative. Sarebbe interessante, in proposito, capire come hanno pesato negli anni due novità quali il passaggio dai co.co.co. ai contratti a progetto e l’ introduzione della laurea triennale. Dal punto di vista politico questo processo ha minato l’ egemonia del centrodestra e un episodio importante è stata l’ elezione di Giuliano Pisapia nella capitale delle partite Iva, Milano, grazie al voto di professionisti e lavoratori autonomi di nuova generazione. Dal rischio come bandiera si è passati alla richiesta di tutele e rappresentanza sindacale, da reaganiane le partite Iva si sono riscoperte laburiste. Il guaio per loro, però, è che non si può procedere a un’ estensione del welfare statale che includa anche le nuove figure del mercato del lavoro. Si può solo riequilibrare e Fornero l’ ha detto più volte. Ma un vero progetto di flexsecurity ha bisogno di due condizioni, una congiuntura non recessiva e un mandato lungo per il governo che la attua. Due condizioni che oggi mancano e che causano la nuova delusione delle partite Iva

Fonte: Corriere della Sera del 17 marzo 2012

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