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Il Piano Giarda contro i 10 “Grandi Sprechi”

Dagli acquisti a caro prezzo alle infrastrutture, le vie per riqualificare la spesa pubblica.Le Le 50 cartelle di Giarda contengono anche una storia dell’ evoluzione del budget italiano dagli anni 50 ad oggi.L’Ici sembra sposarsi con i suggerimenti del neoministro, più dubbia è la compatibilità con il federalismo fiscale.
Il professor Piero Giarda è da ieri ministro per i Rapporti con il Parlamento ma è unanimemente considerato il miglior analista della spesa pubblica italiana in circolazione. Se, come auspicabile, riusciremo a ricostruire un meccanismo di spending review , come per altro previsto dall’ articolo 1 della manovra approvata in agosto, lo dovremo principalmente a lui. Il dossier L’ ex ministro dell’ Economia Giulio Tremonti lo aveva coinvolto negli ultimi mesi mettendolo a capo di una delle commissioni di studio per la riforma fiscale e il professore Giarda al termine di un lavoro di gruppo ha prodotto di recente un «Rapporto preliminare sulla dinamica, struttura e criteri di governo della spesa pubblica». Un documento che, è facile indovinare, è destinato a diventare una piccola Bibbia del governo Monti. Cinquanta cartelle che contengono tra le tante cose una storia dell’ evoluzione del budget italiano addirittura dagli anni 50 ad oggi, una classificazione degli sprechi più ricorrenti e infine una proposta di riforma del patto di stabilità interno che oggi lega le mani agli enti locali. Giarda sostiene che avanzare proposte è un compito che appartiene al governo e al Parlamento ma per gli enti locali il professore ha fatto una (lodevole) eccezione. Dieci categorie Vediamo però prima l’ altrettanto interessante catalogazione degli sprechi, esercizio importante perché rappresenta la condizione necessaria per realizzare la spending review. Il professor Giarda suddivide la spesa inefficiente in 10 fattispecie. Lo Spreco di Tipo 1 è l’ utilizzo di fattori produttivi in una misura eccedente la quantità necessaria. L’ esempio è quando due impiegati vengono incaricati di fare un lavoro per il quale uno di loro sarebbe sufficiente oppure quando una macchina costosa e ad alto potenziale viene sistematicamente sotto-utilizzata. Lo Spreco di Tipo 2 corrisponde all’ acquisto di fattori produttivi pagando prezzi superiori a quello di mercato o all’ effettivo valore. La casistica ricorrente è quella che si verifica nell’ acquisto di farmaci laddove le diverse Asl pagano prezzi differenti per lo stesso prodotto. Lo Spreco di Tipo 3 è, secondo l’ analisi del professor Giarda, l’ adozione di tecniche di produzione sbagliate rispetto ai prezzi dei fattori produttivi impiegati. Lo Stato ha una tendenza inarrestabile a utilizzare quelle tecniche che richiedono la più alta intensità di lavoro, così facendo però produce servizi ad extra-costi. Inefficienze Anche i ritardi tecnologici generano sprechi. Infatti nella catalogazione di Tipo 4 troviamo l’ utilizzo di modi di produzione «antichi», chiaramente più inefficienti e costosi di quelli che si avrebbero utilizzando le tecnologie più avanzate e innovative. «Ciò è notoriamente associato – chiosa Giarda – all’ incapacità delle strutture pubbliche di investire e innovare nelle tecnologie di produzione utilizzate». Ma oltre al gap di innovazione, a produrre ulteriori sprechi (di Tipo 5) sono modi di produzione che impiegano attori incompatibili tra loro, in concreto significa che si utilizza lavoro non specializzato applicato al funzionamento di macchine innovative ed evolute. Welfare Fin qui abbiamo parlato di produzione dei servizi che lo Stato offre ai cittadini e che come abbiamo visto generano numerose inefficienze ma gli sprechi sono in agguato anche in quelle che gli addetti ai lavori chiamano «politiche redistributive» ovvero quando lo Stato si preoccupa di aiutare i più deboli. Secondo il professor Giarda c’ è «un’ errata identificazione dei soggetti meritevoli di essere aiutati nei programmi di sostegno del reddito disponibile». Il motivo? Semplice: le procedure di selezione si caratterizzano «per spreco e inefficienza». In sostanza quando lo Stato si occupa del welfare butta via i soldi malamente. E quando investe in opere pubbliche che accade? Arriviamo allo Spreco di Tipo 7 ovvero la progettazione di opere incomplete, il mancato completamento di quelle iniziate, i tempi di esecuzione molto superiori ai tempi programmati. Ma non è tutto. Sprechiamo anche progettando opere di dimensione eccessiva rispetto alla capacità realisticamente sfruttabile e a volte usiamo materiali troppo pregiati. Infrastrutture Lo Spreco di Tipo 8 riguarda l’ avvio di nuovi programmi di spesa non preceduti o che non passano i test di benefici superiori ai costi. L’ esempio classico è quello delle infrastrutture. Troppe volte si sono assunte decisioni in violazione del criterio che il valore dei benefici netti futuri dovrebbe superare il costo di costruzione. Lo Spreco di Tipo 9 è rappresentato da un mix dei programmi di spesa che non si adegua ai mutamenti della domanda e dei bisogni della collettività. Vengono mantenuti in attività programmi/strutture/enti per i quali non sussistono più le ragioni che avevano portato al loro avvio. Infine arriviamo allo spreco di Tipo 10 e troviamo le iniziative di spesa avviate in funzione anti-ciclica e realizzate con budget di durata permanente anziché con programmi di spesa a termine. Enti locali Terminata la catalogazione delle inefficienze il paper redatto dal gruppo di lavoro guidato dal professor Giarda si avventura a formulare un’ ipotesi di revisione del patto di stabilità interno che ha l’ obiettivo di ridurre la differenza tra spese finali e entrate proprie di Comuni, province e Regioni. Il criterio di fondo è quello di dare agli enti locali regole certe e garantite nel tempo, le stesse che governano le relazioni tra Roma e la Ue nell’ ambito dell’ obiettivo di riduzione del rapporto deficit-Pil (Maastricht per capirci). Oggi invece sindaci e governatori devono fare i conti con una totale aleatorietà delle regole che le porta a cambiare di anno in anno. Giarda propone di definire un saldo di bilancio che si configura «come differenza tra prelievi diretti sull’ economia e uscite verso il sistema economico». «Deve essere definito in termini di sola cassa, non considerare entrate e uscite connesse a movimenti sulle attività finanziarie, non considerare le entrate per compartecipazione a tributi che sono nella sovranità di altri livelli di governo e, infine, non considerare tutti i trasferimenti da/per altri enti dell’ amministrazione locale o per altri livelli di governo». Risanamento Una volta definito il saldo bisogna prevedere per ciascun Comune, provincia o regione una regola e un percorso di aggiustamento che «deve essere fatto operando sulle spese e sulle entrate proprie». Giarda articola l’ ipotesi di risanamento per singoli comparti e singoli enti che compongono la galassia delle amministrazioni locali e conclude che «il rispetto del riaggiustamento dei saldi tra entrate proprie e spese finali valorizza il ruolo del decentramento e attribuisce al sistema delle autonomie un ruolo importante nella politica di risanamento della finanza pubblica del Paese». Ora però se l’ ipotizzata reintroduzione dell’ Ici sulla prima casa sembra sposarsi alla perfezione con i suggerimenti di Giarda più dubbia è la compatibilità degli stessi con il federalismo fiscale alla Calderoli. Ma siamo solo all’ inizio e non sappiamo che uso farà il governo di questo paper.

Fonte: Corriere della Sera del 17 novembre 2011

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