Mario Monti torna dallAsia pieno di complimenti e di promesse, in particolare dai vertici di Pechino. Ma senza cadeau in valigia. Nessuno sospetta, sia chiaro, che Wen Jiabao e il suo probabile successore Li Keqiang abbiano parlato con lingua biforcuta. Ma è che hanno parecchi guai in casa loro, guai per molti versi inattesi. Lo dimostra la lotta di potere che ha portato alla defenestrazione del leader populista Bo Xilai. Mentre il barometro delleconomia segna tempesta: la crescita rallenta, linflazione sale, scendono i valori immobiliari (e il real estate è stato anche in Cina il volano dello sviluppo), monta lallarme sui debiti delle province e delle municipalità. E cè persino chi parla di bolla sullorlo di esplodere.
Il professore rientra a Roma accolto da un aumento della disoccupazione che a febbraio tocca il 9,3%, quota mai raggiunta nemmeno durante la prima recessione, quella del 2008-2009. Ormai la cassa integrazione non ce la fa più a tamponare i licenziamenti. Ed è solo linizio. Ciò rende molto più difficile far passare la riforma dellarticolo 18. Leconomista Stefano Micossi sostiene che il divieto di licenziamento non arresta il ritmo di espulsione, mentre crea una barriera alle nuove assunzioni. E ricorda che oggi protegge 6 milioni di lavoratori privati e 3,5 milioni pubblici,mentre gli altri 13,5 sono licenziabili.
Ha ragione, è ormai una barriera inefficace e iniqua, ma come si fa ad abbatterla mentre chiudono le fabbriche e gli uffici? Come vendere ai sindacati e ai lavoratori una riforma con una pars destruens qui e ora, mentre la pars construens viene rinviata a un improbabile 2017? Eppure, Monti si è impegnato a Pechino, a Tokio, a Seul, nella nuova frontiera dello sviluppo. E ormai è diventato un pilastro della fase uno da chiudere al più presto perché già si preannuncia una fase due.
La recessione sarà lunga, almeno un anno, e dura: la Banca dItalia e lOcse sono più ottimiste e prevedono un prodotto lordo reale che scende di un punto e mezzo; il Fondo monetario internazionale arriva fino a 2,5% in meno. Il volume della produzione resta ben al di sotto dei livelli pre-crisi finanziaria. Ormai ci sono tutti i sintomi di una stretta del credito (lo ha ammesso anche il ministro Passera, ex banchiere). E non si vede quale molla potrà invertire la tendenza. La spesa pubblica va tagliata ancora, compresa quella per investimenti. La domanda interna si riduce. Gli investimenti esteri non arrivano. Lexport delle eroiche aziende concorrenziali al massimo copre un quinto di Pil.
La fase uno è basata sulla riforma delle pensioni, laumento delle imposte e (se si chiuderà entro lestate) la riforma del mercato del lavoro. Le liberalizzazioni sono una deludente incompiuta. Non sono stati sbloccati i 100 miliardi che la Pubblica amministrazione deve ai fornitori. Non è stato riaperto nessun cantiere. Le pensioni non hanno un impatto recessivo, al contrario: tenendo più a lungo la gente al lavoro si riducono le spese dello Stato e si pagano retribuzioni in ogni caso più elevate rispetto agli assegni di quiescenza. Tutte le altre misure, invece, hanno depresso il potere dacquisto, quindi la crescita nel breve termine.
Intanto lUe al vertice di Copenaghen, lo scorso fine settimana, ha suonato un nuovo campanello dallarme. Leurocrisi non è finita – scrive un documento riservato della Commissione – Molti squilibri sottostanti e debolezze delle economie, del sistema bancario e dei debiti sovrani, debbono ancora essere affrontati. La speculazione scalda i motori, prende di mira il Portogallo (ma ormai è come sparare sulla Croce rossa) e soprattutto la Spagna. Lo spread risale, anche i tassi italiani tornano ben sopra il 5%. Se ad agosto, il mese più crudele sulle borse mondiali, comincia un balletto iberico simile a quello che lanno scorso travolse Grecia e Italia, saranno guai seri. Ecco perché Monti sta esaminando la possibile fase due. Di che si tratta?
Il governo lo negherà fino allultimo, però in Parlamento è già tutto un fremito di idee e proposte. Il direttore del Financial Times, Lionel Barber, del resto, ne ha già scritto in tempi non sospetti, parlando di un piano A (cioè la stabilizzazione finanziaria lanciata a novembre quando eravamo davvero sullorlo del crac perché non circolava più moneta e le banche restavano allasciutto) e di un piano B che consiste in unimposta patrimoniale e in un intervento straordinario per tagliare lo stock del debito. Monti insiste ancora che, portando in pareggio il bilancio dal 2013 e assicurando per alcuni anni un buon avanzo primario (cioè al netto degli interessi), il debito comincerà a ridursi. Ma il movimento è lento (ci vogliono ventanni di rigore) e incerto (dipende da bassi tassi di interesse che, però, sono esogeni, vengono regolati dal mercato internazionale e dalle banche centrali).
Non solo. Con laumento delle imposte il governo ha colpito i ceti medi a reddito fisso (lo si è visto nelle buste paga di marzo). LImu sarà una pesante patrimoniale sugli immobili (fonti vicine al governo prevedono un rincaro pari a tre volte lIci). Larticolo 18 diventa, comunque la si metta, una mazzata sui lavoratori sindacalizzati. In nome dellequità promessa dai tecnici, dunque, è arrivato il momento di intaccare i redditi alti. Le cifre scandalose sulla concentrazione di ricchezza e sulla elusione/evasione fiscale da parte di imprenditori e capitalisti rendono socialmente e politicamente insostenibile la situazione. E i grandi giornali, a cominciare da Il Corriere della Sera, preparano il terreno.
Unimposta straordinaria sui ricchi servirà a rilanciare la crescita? No. E nemmeno a risanare le finanze pubbliche. Né potrà riequilibrare lingiusta distribuzione del reddito. Sta lì a dimostrarlo lesperienza francese, ormai trentennale. Tuttavia, è diventata anchessa un simbolo per certi versi parallelo e opposto rispetto allarticolo 18. Dunque, sarà difficile esorcizzare il fantasma.
Più complessa è loperazione sul patrimonio pubblico. Circolano stime da 300 miliardi di euro (su un debito totale di 1.900 e uneccedenza di 900 miliardi rispetto al 60% stabilito dal patto di stabilità). Senza entrare troppo nel merito di quelle che sono finora solo ipotesi di scuola, si tratta di collocare asset importanti fuori dal perimetro del bilancio consolidato. Altri paesi lo hanno fatto (tedeschi e francesi con le ferrovie o i debiti locali). Ma sono noccioline rispetto a unoperazione come quella italiana paragonabile solo alla nascita dellIri nel 1933. Da far tremare le vene ai polsi, ma, a questo punto, esistono davvero alternative?
Il “piano B” di Monti contro la crisi
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