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Il Pdl decida:riunire i moderati senza Cav. o affidarsi a lui e andare a elezioni

Nell’editoriale sul Corriere della Sera del 2 giugno (Molti sussurri e poche grida) Ernesto Galli Della Loggia ha dissertato, con la consueta lucida malignità, sulle differenze tra e , arrivando alla conclusione che il Pdl appartiene a quest’ultima tipologia. I motivi di un assai poco lusinghiero rating (usiamo pure noi un termine proprio dei tempi che corrono) starebbero, secondo il professore, non solo nella mancanza di un programma che non coincida con quanto passa, in momento dato, per la testa di Silvio Berlusconi, ma addirittura perché .
In sostanza, secondo Galli Della Loggia, . Anzi, chiunque si azzardasse a tentare un qualche ragionamento politico in autonomia . Queste ed altre amenità non meriterebbero un commento, se non fossero l’espressione di un irriducibile malanimo nei confronti del Pdl che non esita a trovare spazio nell’editoriale del più importante quotidiano del Paese.
Basterebbe prendersi la briga di scorrere i curricula di tanti parlamentari del Popolo della libertà o di alcuni importanti ex ministri (magari mettendo a confronto le loro iniziative con quelle di alcuni tecnici attuali), per rendersi conto che i giudizi del professore non sono solo ingenerosi, ma un bel po’ disonesti. Monti all’Economia non ha fatto sicuramente meglio di Tremonti, mentre Maurizio Sacconi ha accuratamente evitato di mettersi nei guai come Elsa Fornero. Persino Corrado Passera non è stato fino ad ora all’altezza dei poteri speciali che gli sono stati attribuiti. Ci siamo permessi, allora, di replicare – con la modestia del caso – a Galli Della Loggia, al solo scopo di riconoscergli un briciolo di verità all’interno della pozione di veleni inclusa nell’editoriale.
In questi ultimi tempi, a chi scrive è capitato di avere degli con la base del partito, in occasione della campagna elettorale o di convegni in cui venivano affrontate questioni di merito molto precise come l’economia, le pensioni e il lavoro. Ho potuto osservare quasi sempre una nutrita partecipazione di iscritti e militanti, in generale gente normale, che lavora o è in pensione e che vive questa situazione del Paese con grande preoccupazione. Un partito sano, di cittadini per bene, dunque. I militanti sono molto critici nei confronti del governo Monti e quindi del gruppo dirigente del Pdl che lo appoggia e ne vota i provvedimenti. Se qualcuno invita a staccare la spina, riceve gli applausi dei presenti che non riescono a rendersi conto, anche dopo i risultati delle ultime elezioni amministrative, che, al dunque, la spina staccata sarebbe solo la nostra.
Una cosa si nota, ovunque. Nessuno critica Silvio Berlusconi, come se il Cav. fosse al di sopra del bene e del male, come se non avesse alcuna responsabilità (e ne ha tante, sia sul piano personale che politico) nel declino del Pdl. Ecco perché, quando Della Loggia ha parlato di mi sono tornate alla mente le assoluzioni, a prescindere e , del leader del Pdl. Persino l’accanimento dei confronti del governo Monti diventa un modo per non criticare l’esecutivo precedente, al quale si deve (a parte il caso emblematico dell’Imu) l’attuale impostazione della politica di bilancio. Compreso il fiscal compact.
Diciamoci la verità: Monti porta avanti le scelte strategiche compiute da Tremonti, la cui azione autorevole ci ha sempre garantiti nei confronti dei mercati, fino a quando, a contestarne le scelte fu proprio Silvio Berlusconi, a partire dalla sconfitta elettorale della primavera del 2011, dovuta in larghissima misura al successo della massiccia e infame campagna massmediale e giudiziaria a cui fu sottoposta la sua vita privata.
Se nel corso del 2011 l’Italia ha rischiato di avvitarsi su se stessa, molto è dipeso da un evidente contrasto di linea tra il premier e il ministro dell’Economia, che, anche per errori di carattere del personaggio, ha finito per emarginare il secondo, mentre sullo scenario internazionale – più torto che a ragione – era screditato il primo. In ogni caso, quello di Silvio Berlusconi è una sorta di nodo gordiano per il Pdl, il quale ha davanti a sé due strade da percorrere in questi pochi mesi che ci separano dalle elezioni del 2013. La prima è quella di concorrere a formare un nuovo contenitore dei moderati che contenda al Pd una sicura vittoria per mancanza di avversari (quella che mancò ai Progressisti nel 1994). Per portare in porto un’operazione siffatta tutto è difficile, incerto e indefinito, salvo una sola condizione: Berlusconi deve farsi da parte. E’ l’opzione preferibile per chi scrive. L’altra è quella di combattere fino all’ultimo, nel ridotto della Valtellina, con quei fedelissimi che amano ancora il Cav. E sono tanti. Ciò allo scopo di ottenere una porzione di elettorato che dia un minimo di visibilità, di presenza e di potere. Per perseguire questo risultato, però, tocca a Berlusconi scendere in campo e metterci la faccia. Senza poter contare sulla ricostruzione di un’alleanza con la Lega, ormai travolta da un inesorabile declino.
E’ evidente che tali prospettive dipenderanno da tante circostanze, a partire da quale sarà la legge elettorale con cui si voterà nel 2013. Ma ormai da mesi il Pdl tenendo in piedi ambedue le opzioni e rischiando di bruciarle entrambe. In conclusione, il polo dei moderati non lo si fa con Berlusconi; la battaglia da soli non si combatte senza di lui. A pensarci bene, è questa la spiegazione del clamoroso insuccesso della consultazione di maggio: il Pdl è sceso in campo da solo e senza Berlusconi. Ha quindi moltiplicato i suoi punti deboli.

Fonte: Occidentale del 4 giugno 2012

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