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Il Pd e i cattolici “bambini”

Dice Stefano Fassina che Rodotà non avrebbe avuto i voti di molti cattolici del Pd. Torna in primo piano un antico problema sempre rimosso, quello della laicità della politica, perché come si vede le scelte dei “cattolici non adulti” hanno conseguenze rilevanti anche al di là dei temi strettamente etici.
“Io sono un cattolico adulto e vado a votare”, disse Prodi, in risposta all’invito all’astensionismo al referendum sulla fecondazione assistita del cardinale Camillo Ruini. Ma sono tutti “adulti” i cattolici del Pd?
No, non lo sono. Stefano Fassina, rispondendo a una domanda sul perché il Pd non aveva appoggiato la candidatura alla presidenza della Repubblica di Stefano Rodotà, ha detto che non avrebbe avuto abbastanza voti, perché le sue posizioni sono troppo distanti da molte “sensibilità” presenti nel partito. In altre parole, Rodotà sarebbe troppo laico per una parte dei cattolici del Pd: una parte rilevante, è lecito dedurre, se sarebbe stata addirittura sufficiente a far mancare una maggioranza che sulla carta – considerando la somma dei voti di centro sinistra e M5S – sarebbe stata più che abbondante.
Riemerge così, anche nel Pd come ci fu nel Pci, una “questione cattolica” mai compiutamente risolta. Che si poteva in qualche modo comprendere nel vecchio Partito Comunista, la cui filosofia prevedeva che anche le questioni etiche fossero subordinate al raggiungimento dell’obiettivo finale. Ma che non dovrebbe esistere in un partito a-ideologico quale dovrebbe essere il Pd.
Le prime polemiche risalgono alla famosa scelta di Togliatti, che volle il recepimento del Concordato nella Costituzione con l’articolo 7. Una mossa che non era un incontro culturale, ma un compromesso politico tra due forze, ossia lo stesso Pci e il Vaticano con la sua proiezione politica Democrazia Cristiana. Il Pci inoltre accoglierà volentieri, e valorizzerà, il drappello dei cattolici comunisti – che comprendeva peraltro persone di grande valore e apertura – uno dei quali, Franco Rodano, sarà tra i più stretti collaboratori di Togliatti e lo diventerà poi di Enrico Berlinguer. Sarà lui a impegnarsi nell’elaborazione teorica del “Compromesso storico”, che Berlinguer lancerà come nuova strategia del partito dopo il golpe cileno del ’73 e che non era concepito come una mera operazione politica, ma come un nuovo orizzonte culturale per la trasformazione della società, un progetto comune di comunisti, socialisti e cattolici.
Un progetto certamente nobile, ma che provocò in molti un senso di soffocamento. Né la cultura comunista né quella cattolica sono mai state intrinsecamente libertarie: cosa sarebbe potuto derivare dalla loro convergenza?
Il fatto è che, rispetto alle istanze sociali – e sempre tenendo conto del pluralismo che ha sempre caratterizzato il campo cattolico, più ancora di quello comunista – prevale effettivamente la vicinanza delle due visioni del mondo. Le due culture condividono valori di fondo come la solidarietà, l’avversione allo sfruttamento, l’attenzione alle fasce deboli della società. Valori fondanti di una posizione politica che si è sempre definita “di sinistra”, prima che una schiera di “nuovisti” cominciasse ad affermare che questo concetto è storicamente superato.
E’ proprio il riconoscimento di questa base comune che ha reso possibile l’idea del Pd come partito progressista che fosse una casa comune per gli ex comunisti, al termine del lungo cammino che li aveva affrancati dall’ideologia marxista declinata nella versione sovietica e definitivamente accantonata dopo la caduta del Muro, e gli eredi di quella parte della Dc che era sempre stata più attenta alle problematiche sociali. Un post-compromesso storico che non sarebbe più stato un compromesso, perché erano cadute le appartenenze ideologiche di partenza.
Ma una “questione cattolica” è sempre rimasta irrisolta. Sui temi etici, come devono comportarsi i cattolici in politica? Il magistero della Chiesa dev’essere vincolante per le scelte di un parlamentare che contribuisce a decisioni valide non solo per la minoranza cattolica, ma per tutti i cittadini? La risposta corretta dovrebbe essere quella che, sempre in occasione di quel referendum, fu data da Mimmo Lucà, coordinatore dei Cristiano Sociali (una componente all’interno di Ds e poi Pd): “Da politico credente ascolto sempre con attenzione e rispetto i pronunciamenti dei vescovi su materie di ordine morale, ma resto convinto che la responsabilità delle decisioni in politica debba sempre ricondursi all’autonomia e alla libera coscienza dei laici”. Lucà si inseriva d’altronde nel solco di una tradizione della migliore cultura cattolica. In un discorso tenuto a Fiuggi, nell’estate del 1949, a conclusione del Consiglio Nazionale della Dc, De Gasperi aveva detto per esempio: “(…) A questa «laicità» basta la Costituzione, a cui gli spiriti credenti hanno collaborato votandola così come è, non perché ritenessero che l’invocazione a Dio avrebbe menomata la dignità umana e il libero arbitrio (…) ma perché sanno che nella Costituzione di uno Stato moderno non è necessario proclamare le proprie credenze, quanto è indispensabile di accordarsi su norme di convivenza civile che colla libertà di tutti, difendono anche la libertà della fede”.
Impostazione tanto più valida quando le decisioni da prendere non riguardano obblighi per tutti, ma solo possibilità che si aprono per chi abbia visioni del mondo diverse da quella cattolica. Decisioni cioè che lasciano perfettamente liberi tutti i cattolici di seguire le indicazioni dei loro vescovi, ma altrettanto liberi gli altri di comportarsi diversamente, senza pregiudizio per nessuna delle due posizioni.
Regolare le coppie omosessuali o introdurre il testamento biologico non ledono alcun diritto dei cattolici di comportarsi come la Chiesa prescrive. Ma nel momento in cui nella società nasce l’esigenza di nuove norme su questi temi, il Parlamento avrebbe il dovere di rispondere a queste esigenze e i parlamentari cattolici dovrebbero comportarsi da “adulti”, ossia ricordare che non stanno legiferando per i loro correligionari, ma per lo Stato italiano.
Questa distinzione è ormai generalmente accettata sul piano teorico, ma, come si è visto in innumerevoli occasioni, quando si tratta di applicarla in pratica viene da molti dimenticata. L’ostilità – peraltro non esplicitamente dichiarata – alla candidatura di Rodotà ne è stata l’ennesima manifestazione. Così, una minoranza intollerante ha determinato esiti politici che sono andati e andranno ben al di là delle questioni legate alle “sensibilità” dell’etica cattolica.
In quel che rimane del Pd e della sinistra è iniziato un ampio dibattito sul futuro. Sarebbe opportuno che questo problema, sempre lasciato in secondo piano perché considerato meno importante rispetto alle urgenze del governo e della crisi economica, venisse invece affrontato esplicitamente e risolto una volta per tutte.

Fonte: Repubblica 11 maggio 2013

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