• sabato , 23 Novembre 2024

Il Parlamento italiano dominato dai manager

PER INCARICO della Fondazione Rodolfo Debenedetti un gruppo di economisti di alto livello internazionale, coordinati da Tito Boeri, Antonio Merlo e Andrea Prat, hanno costruito, come spiega in un suo commento Lucrezia Reichlin, docente della London Business School, “una ricchissima banca dati basata sui curricula dei parlamentari eletti tra il 1948 e il 2008. Si tratta di una banca dati non solo unica, ma elaborata in modo approfondito e sofisticato: un primo importante passo per una valutazione quantitativa del profilo dei legislatori italiani”. Il saggio (Classe dirigente. L’intreccio tra business e politica, autori vari, pag 149, Università Bocconi Ed.) dedica la sua prima parte al profilo dei parlamentari (i soli di cui daremo conto), mentre la seconda si concentra sui manager. Più di un punto incrocia, peraltro, i due filoni. Scopriamo, ad esempio, che un terzo dei manager incontra politici o esponenti dell’amministrazione pubblica almeno una volta la settimana.
È probabile trattarsi di persone che perseguono gli interessi aziendali, attraverso la loro posizione politica. Un conflitto di interessi che assume dimensioni macroscopiche quando verifichiamo un dato senza precedenti: tra i parlamentari eletti alle ultime politiche (2008) sono i manager a far la parte del leone (un deputato su quattro). Se si osservano da vicino le carriere dei deputati, dalla prima Legislatura (1948) alla XV (2006), vediamo che i neoparlamentari provenienti dal settore legale sono passati dal 33,9 al 10,6%, tra i manager dal 6,1 al 18,2,i sindacalisti,che nelle prime Legislature avevano toccato l’11, dal 1970 in poi sono crollati intorno al 3%. Anche il dato sull’istruzione è inaspettato: se nella Prima Repubblica la percentuale dei parlamentari laureati era dell’80,5, nella Seconda è scesa al 68,5. Un terzo degli eletti non ha quindi neppure uno straccio di laurea.
Il saggio dedica un’ampia disamina alle retribuzioni dei parlamentari italiani paragonandole a quelle statunitensi: in Italia le indennità vere e proprie (senza contare quelle aggiuntive) misurate in termini reali (euro del 2005) sono aumentate da 10.712 euro nel 1948, a 137.691 euro nel 2006, pari a un aumento medio del 9,9%annuo e un incremento totale del 1.185,4%; negli Usa, dove non ci sono indennità aggiuntive, la retribuzione lorda è cresciuta da 101.297 dollari nel 1948 a 160.038 dollari all’anno nel 2006, con un aumento del 58%, ovvero l’1,5% annuo. Paragonando l’introito dei parlamentari a quello delle altre categorie italiane si calcola che il reddito medio dei manager tra il 1985 e il 2004 è aumentato del 69%, con un tasso annuo del 2,9; quello complessivo dei parlamentari è aumentato del 96,7 a un ritmo annuale del 3,8.
Nel 2004 lo stipendio parlamentare medio (146,533+56.335 da altre voci) risultava nel totale 1,8% superiore al reddito reale medio di un manager (113,087 euro). Non posso dilungarmi ancora. Sottolineo solo quanto si afferma nelle conclusioni: “Il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica ha determinato un pauroso peggioramento qualitativo dei politici. Questo declino va di pari passo con il drammatico abbassamento del livello medio di istruzione. Infine all’aumentato reddito parlamentare peggiora la qualità media degli individui che entrano in politica. Il forte incremento del reddito parlamentare (quattro volte quello medio di un manager privato) ha contribuito al declino della qualità degli eletti”. Abbozzo una riflessione: il prevalere, tramite Forza Italia, della presenza manageriale e della ricchezza all’interno delle Camere spiega la degenerazione della cultura politica italiana: sul consenso prevale il comando, un sistema di equilibri e di suddivisione istituzionale dei ruoli (magistratura, Consulta, Quirinale) appare un non senso per chi considera il capo azienda naturale detentore del potere. In questo quadro la conquista di una maggioranza funziona se segue le regole di un’Opa: chi la vuole si dia da fare per acquistare il controllo azionario. E come, se non con i soldi?

Fonte: Repubblica del 27 dicembre 2010

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