• venerdì , 22 Novembre 2024

Il paradosso di Franz, nato liberista ma accusato di statalismo

ROMA – Potremmo chiamarlo il paradosso di Tatò. Un liberista convinto che finisce sotto accusa per statalismo. Un manager che in qualsiasi altro Paese d’ Europa graviterebbe nell’ area del centrodestra e che in Italia, invece, si è trovato suo malgrado ad essere un’ icona della sinistra. Chi volesse oggi crocifiggere Franco Tatò potrebbe andare a riprendere gli articoli che scriveva (con gusto) per «L’ indipendente» di Vittorio Feltri e cercare lì tutte le contraddizioni con il suo ruolo attuale, quello di numero uno di un gruppo pubblico il cui peso economico e politico nel Paese è cresciuto e mette paura a più di qualcuno.

Liberista Tatò lo è davvero, al punto da aver affermato che il licenziamento può essere «un momento creativo» nella vita di un uomo, un concetto che solo un devoto della scuola austriaca dei von Hayek potrebbe sottoscrivere. Ma l’ amministratore delegato dell’ Enel è anche l’ uomo che arrivato a Roma ha cominciato ad elaborare una visione più complessa del business, più sistemica. Nella quale la privatizzazione è un traguardo al quale l’ azienda pubblica deve arrivare più ricca e appetibile che può. Non tralasciando nessuna, ma proprio nessuna, occasione per diventarlo. Sapete come è nato il progetto di Wind? Eran passati pochi giorni dall’ arrivo di Tatò nel palazzone Enel. Il manager chiede alla segretaria di chiamargli il direttore del compartimento di Torino, la signora a sua volta domanda: «Preferisce che lo chiami con la Sip e con la rete Enel?». Una settimana dopo, narra la leggenda, Tatò varcava il portone di via XX Settembre e andava a colloquio con il suo azionista, il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, per presentargli il progetto di creazione di una società telefonica. Dopo un mese assumeva Tommaso Pompei. Che poi l’ avventura di Wind non sia stata propriamente una marcia trionfale nulla toglie all’ intuizione di Tatò e caso mai spiega perché oggi l’ Enel comprando Infostrada operi nella telefonia una sorta di «raddoppio per non lasciare».

Il rapporto tra Tatò e Massimo D’ Alema è stato occasionale o, forse, strumentale. L’ ex premier ha più volte portato quella nomina a riprova che il centrosinistra non aveva scelto gli amici degli amici ma aveva persino promosso un uomo che forse aveva votato da un’ altra parte. Certo è che l’ operazione che sta facendo gridare i leader del centrodestra a prima vista sembra di stampo dalemiano e sorella di Seat-Tmc. C’ è il sogno di veder crescere dei campioni nazionali capaci di battersi fuori dei confini patrii, c’ è l’ appoggio pressoché incondizionato del capo del governo e del Tesoro, manca solo come «luogo delle strategie» quella merchant bank di Palazzo Chigi che nel frattempo ha fortunatamente chiuso i battenti. Di sapore dalemiano c’ è anche una certa capacità del centrosinistra di stringere attorno a sé gli interessi, di far capire alle aziende – semiprivatizzate o privatizzate che siano – che le élites se vogliono qualcuno che le ascolti devono stare con la gauche. E’ per questo che il Polo insorge, come e forse di più di quanto era insorto per Seat-Tmc.

Le preoccupazioni di Silvio Berlusconi sono molteplici, politiche e aziendali. Le prime spiegano il botta e risposta di ieri con Tatò, un uomo che il Cavaliere tutto sommato preferirebbe avere dalla sua parte. Tanto più che a suo tempo il manager è stato amministratore delegato di Mondadori e Fininvest. Ma Berlusconi ha capito che sta cambiando qualcosa di più profondo nel rapporto tra industria e politica. Se per lustri le vicende pubbliche italiane hanno girato attorno alla chimica dei Rovelli, dei Cefis e dei Gardini, è stata la televisione poi a diventare il pivot. Negli anni di Craxi sono caduti governi sulla regolamentazione delle tv ed è stato il duopolio Rai-Fininvest la forma scelta per stabilizzare i conflitti. Oggi la situazione è cambiata e chi vuole seguire il fil rouge del rapporto tra interessi e politica non deve perder d’ occhio le vicende della telefonia. La nuova razza padrona sta lì. Un top manager Mediaset nei giorni scorso ha così fotografato i nuovi rapporti di forza: «La situazione è cambiata. Si rischia la colonizzazione della tv da parte delle società di telecomunicazioni, a causa del divario di dimensioni tra le tv cresciute nel contingentamento e le telecomunicazioni libere di essere colossi». E il Cavaliere queste cose le sa. Non a caso nei giorni scorsi ha trovato il tempo di ricevere Roberto Colaninno per conversare di telefoni & televisioni e magari del comune amico Rupert Murdoch.

Tatò, dal canto suo, scade nella primavera del 2002 con l’ assemblea chiamata ad approvare il bilancio dell’ anno prima. La Roma pettegola racconta che, prima del colpo Infostrada, il manager di Lodi e il Cavaliere di Arcore si erano annusati ed erano arrivati a ipotizzare per Kaiser Franz persino un incarico ministeriale. Il centrosinistra – con l’ unica eccezione dell’ acquisizione della Sisal che nelle intenzioni di Tatò serviva a dotare il gruppo di una rete fatta da 8 mila punti vendita – finora ha sempre avallato le sue scelte e anche per Infostrada è andata così. Per cui cambiar campo non è semplice anche in un Paese come l’ Italia che nell’ autunno dell’ anno di grazia 2000 si appresta a conoscere una nuova figura, il manager bipartisan, che non sapendo come andrà a finire si cautela.

Tattiche romane a parte, Tatò sa benissimo che per mettere a tacere i suoi critici deve in tempi ragionevoli spingere l’ Enel fuori dall’ Italia. Con tutta probabilità il giorno che il suo gruppo sarà in grado di annunciare un’ acquisizione elettrica all’ estero, allora il giudizio cambierà. Fino ad allora però la grande Enel e il suo mentore saranno guardati con sospetto. Ma ce la farà? Riuscirà a trovare un Paese d’ Europa che permetta a un’ azienda pubblica per di più straniera di fare shopping a casa sua?

Fonte: il "Corriere della Sera" del 12 ottobre 2000

Articoli dell'autore

Commenti disabilitati.