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Il modello italiano non puo’ essere permanente

Una democrazia non può funzionare bene e a lungo senza possibilità di ricambio, senza competizione tra alternative, senza che i cittadini possano dire la loro sulla cosa che conta di più: quale leader, quale governo e quale maggioranza debba governarli. Nei Paesi che contano succede così. E non è un caso.
L’alternativa è un fossato sempre più largo tra una politica asserragliata nella paura e cittadini arrabbiati, una miscela esplosiva. Per non parlare di quanto potrebbe succedere in Parlamento: instabilità, veti, contrattazione paralizzante. Ci illudiamo se pensiamo che il ricorso a soluzioni eccezionali, come il governo Monti, possano compensare questi effetti. I governi hanno bisogno di un sostegno diretto dei cittadini: di cittadini che li scelgano, non che li subiscano.
Il timore è che facendo riforme difensive, domani ci ritroviamo con istituzioni persino più deboli, in cui nessuno può vincere, in cui nessuno può veramente decidere. E cambiarle, a quel punto, potrebbe divenire impossibile. La ragione della proposta lanciata ieri dal presidente Berlusconi e dal segretario Alfano è quella di offrire ai cittadini una possibile alternativa: il modello semipresidenziale.
Un’alternativa che è motivata dalla convinzione che questa sia la soluzione più adatta all’Italia. Certo non l’unica, ma oggi la più adatta. Per ragioni storiche, per ragioni politiche, per il modo in cui si è venuta evolvendo la Costituzione vivente. In questa direzione andava la scelta fatta nella Bicamerale presieduta da D’Alema, in questa direzione è andata l’interpretazione del ruolo del Capo dello Stato nei momenti di crisi. Non solo di Napolitano.
Il presidenzialismo alla francese può allineare la Costituzione formale alle tendenze della costituzione vivente. È un sistema che ha dato buona prova di sé, aiutando, in Francia, partiti in precedenza frammentati e litigiosi ad orientarsi verso un assetto e comportamenti più virtuosi. In un momento in cui tutti i partiti italiani sono in fase di ristrutturazione, avere un punto fermo nella guida responsabile di un Capo dello Stato legittimato dai cittadini può aiutare quel processo, evitando il rischio dell’anarchia e di involuzioni autoritarie. Infine il presidenzialismo è un grande fattore di unità nazionale. La competizione attraversa l’intero Paese. Esso può pertanto rappresentare un ottimo contrappeso per un federalismo equilibrato e responsabile.
Abbiamo l’opportunità di colmare quel gap tra la nostra e le altre democrazie avanzate. Ciò che i costituenti stessi avrebbero voluto fare, ma ai quali fu impedito dalle condizioni storiche. E se fu saggio che, allora, non l’abbiano fatto, sarebbe colpevole non farlo oggi. Perché tanta acqua è passata sotto i ponti e l’applicazione della seconda parte della Costituzione si è avvitata in distorsioni e manipolazioni imposte dalla necessità del tempo. Una necessità fisiologica nell’evoluzione delle democrazie. Ma che noi abbiamo dovuto drammatizzare, chiamandola sempre più di frequente “emergenza”, proprio per giustificare forzature senza le quali la Costituzione sarebbe saltata.
Oggi abbiamo una grande occasione. La crisi della nostra economia ma anche della nostra democrazia, paradossalmente, ci dà almeno questa opportunità. Di guardare i nostri mali con spietata lucidità e di assumerci le nostre responsabilità. Perché il modello italiano che alterna democrazia a basso rendimento e “stati di eccezione” a direzione presidenziale, non può essere un modello permanente.
Citando il giurista liberale, Carlo Esposito, “se in via stabile, abituale, il Capo dello Stato abbia veste di reggitore o guida della comunità statale sarebbe cessato o immesso nel reggimento dello Stato un regime parlamentare, ma un regime diverso. Così, per esempio, un regime presidenziale (…) oppure un regime dittatoriale…”. Ecco qual è alla fine l’alternativa ad una forma di governo troppo debole. Perché, come disse in Assemblea costituente Pietro Calamandrei: “le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dall’impossibilità di governare dei governi democratici”. Non facciamo della paura il nostro cappio, mettiamoci in condizioni di meritare domani un buon “giudizio” dei cittadini.

Fonte: Sole 24 Ore del 26 maggio 2012

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