In questa buia notte della Repubblica, oltre al Quirinale c’è un’altra istituzione che brilla di luce propria. È la Banca d’Italia. Draghi alla Bce è un tributo al prestigio e alla credibilità della nostra banca centrale. Candidato ufficialmente da Tremonti e incoronato virtualmente dalla Merkel: Mario Draghi a Francoforte, con sfumature diverse, è una tripla vittoria. Per la Banca d’Italia, per il governatore e per il governo. Con il via libera della Germania, che sarà formalizzato al vertice dei capi di stato e di governo del prossimo giugno, si corona un successo sul quale fino a pochi mesi fa nessuno avrebbe scommesso un euro. Un italiano alla guida della Banca centrale europea. La più importante istituzione europea. Nata dal tormentato parto di Maastricht, erede della Bundesbank e perciò custode di quell’ortodossia valutaria e di quel rigore finanziario in nome del quale i tedeschi, marchiati a fuoco dalla superinflazione devastante di Weimar, hanno sacrificato il culto sacro del marco. L’unico organismo comunitario e costituzionale al quale gli Stati d’Europa, indecisi a tutto su ogni altro versante dell’esistenza in vita dell’Unione, hanno concretamente ceduto una quota “strategica” della propria sovranità. La moneta, simbolo e veicolo di un’effettiva identità sovranazionale, e la politica monetaria, strumento di “governo” dei prezzi e di gestione del costo del denaro.
Se questo “miracolo” è stato dunque possibile, lo si deve prima di tutto al ruolo che la Banca d’Italia, nel corso di un secolo di storia, ha saputo conquistare e difendere dentro e fuori dai confini nazionali. Lo si deve alla competenza e all’indipendenza che gli uomini cresciuti tra le mura di Palazzo Koch hanno sempre saputo garantire. Anche nei momenti più oscuri della vicenda italiana, dai tempi dello scandalo della Banca romana a quelli del crac della banca di Sindona, quando galantuomini come Paolo Baffi e Sarcinelli, per non cedere alle pressioni del malaffare politico-economico, subirono l’onta delle manette. Lo si deve all’autorevolezza che i governatori forgiati a quella scuola, da Einaudi a Menichella, da Carli a Ciampi, hanno sempre saputo esprimere. Al punto da diventare una preziosa “riserva della Repubblica” alla quale attingere nelle fasi più tortuose della vita politica del Paese.
Se questo “miracolo” è stato possibile, lo si deve poi in secondo luogo alla persona di Mario Draghi. Solo un personaggio con le sue credenziali, nato in Bankitalia, passato alla Banca Mondiale, cresciuto alla direzione generale del Tesoro negli anni ruggenti delle privatizzazioni e della risanamento dei conti pubblici in vista del traguardo dell’euro, forgiato al Financial Stability Board per riscrivere le regole della finanza, poteva riuscire a piegare l’asse franco-tedesco e a convincere i tetragoni monetaristi di Eurolandia che sì, anche un italiano, benché assai speciale, può coltivare quella “cultura della stabilità” sulla quale poggiano le fondamenta dell’Eurotower di Francoforte. Solo un civil servant con la sua preparazione e la sua dirittura etico-morale poteva vincere il pregiudizio di qualche cancelleria intorno al suo passaggio in Goldman Sachs, e al tempo stesso risollevare le sorti della Banca d’Italia, “sporcata” dal fango dell’estate dei “furbetti del quartierino”, dagli “ingressi secondari a Via Nazionale” riservati agli amici, dai “baci in fronte” di Fazio e Fiorani.
Se questo “miracolo” è stato possibile, lo si deve in terzo luogo al buon lavoro fatto da Giulio Tremonti, l’unico ministro che, al di là dei suoi clamorosi limiti nella gestione della politica economica interna, gode di una qualche fiducia sulla scena europea. Può darsi che qualche effetto l’abbia avuto anche l’incosciente arrendevolezza di Berlusconi nei confronti di Sarkozy all’ultimo bilaterale italo-francese, sui temi dell’immigrazione, della Libia, della scalata di Lactalis a Parmalat. Di certo ha giovato la trama dei rapporti diplomatici tessuti in questi mesi dal ministro dell’Economia. In tutti i casi, se l’operazione Draghi andrà in porto questo sarà un grande risultato per il governo italiano, di cui gli va dato atto. Tanto più perché matura dentro un ciclo che vede il nostro Paese oggettivamente sprofondato al punto più basso della sua reputazione internazionale.
Ma ora che il “miracolo” si è avverato, bisogna evitare che si produca un danno. La scelta del nuovo governatore della Banca d’Italia è un capitolo delicato, da affrontare con la stessa cura e la stessa perizia usata per promuovere il governatore attuale alla Bce. Si fronteggiano due linee di successione. Una interna, l’altra esterna. I nomi che circolano, da Fabrizio Saccomanni a Ignazio Visco, da Lorenzo Bini-Smaghi a Vittorio Grilli, sono tutti validi. La nomina spetta al presidente del Consiglio, che la propone alla controfirma del Capo dello Stato. Berlusconi e Tremonti farebbero bene a rispettare la continuità e l’autonomia dell’Istituto. È il bene più prezioso, e non va disperso. Speriamo che questa bella giornata per l’Italia sia un buon viatico anche per la sua banca centrale.
Il miracolo del Governatore
Commenti disabilitati.