Che confusione… (sic!)
Cè da farsi venire il mal di testa. Mai come in questa fase le notizie che arrivano dal fronte caldo delleconomia, nostrana e internazionale, paiono contraddittorie e confondono gli italiani, tanto più se sincrociano con quelle, ancor più bollenti, provenienti da scenari geopolitici che definire in movimento è poco. Ieri, per esempio, abbiamo saputo dallIstat che nel 2010 il nostro pil, cioè il misuratore della ricchezza prodotta ogni anno, è cresciuto dell1,3%, dopo che nel biennio maledetto 2008-2009 la recessione ci aveva portato via ben il 6,3%. Ma solo pochi giorni fa, il 15 febbraio per lesattezza, lo stesso Istat ci aveva comunicato che la crescita era stata dell1,1%. Bene, naturalmente, che il dato sia migliore. Ma cosa può essere cambiato in sole due settimane? Due decimi di punto sembrano poca cosa, ma in realtà la differenza è del 18%. Non solo: il risultato di +1,3% si allontana dalla previsione di una crescita di un solo punto o addirittura dello 0,9% che quasi tutti i centri e le istituzioni economiche facevano, e invece ci consente di accorciare a soli 4 decimi la differenza con la media europea, fissata nel +1,7%. Ripeto, meglio così nella speranza che il dato di ieri rimanga definitivo e bene ha fatto il ministro Tremonti a sottolineare che il dato qualche conforto lo fornisce, ma certo un po di confusione nella testa persino degli economisti è inevitabile. Resta invece inalterata la valutazione di fondo: per lItalia e per Eurolandia avere un tasso di sviluppo delluno virgola non è sufficiente, sia perché nel passato eravamo abituati ad un altro ritmo, sia perché stiamo troppo distanti dai livelli non solo dei paesi emergenti, asiatici in particolare, ma anche degli stessi Stati Uniti, che pur tra mille contraddizioni e difficoltà poche delle ragioni della crisi finanziaria mondiale che negli Usa è nata sono state fin qui rimosse marciano comunque più vicini al 3% che al 2% di crescita.
Ma se, decimali a parte, cresciamo troppo poco, come mai sempre ieri ci arriva tra capo e collo lallarme inflazione, arrivata al 2,4%? Altro mal di testa. La spiegazione cè, naturalmente: è tutta inflazione importata. Cioè dovuta non ad un aumento dei consumi, che infatti rimangono piatti, ma un pesante rincaro dei prezzi dellenergia e dei prodotti agricoli. Di cui, specie nel primo caso, siamo fortemente dipendenti dallestero. Basta prendere la benzina per capire cosa stia succedendo: a febbraio il rincaro rispetto ad un anno prima è stato dell11,8%. E così il gasolio da riscaldamento. Una botta micidiale. Eppure se uno guarda la Cina, tanto per fare un esempio, vede che linflazione è al 6%, e di conseguenza potrebbe essere indotto a rallegrarsi: stanno peggio di noi. Sbagliato. La loro è uninflazione buona, cioè dovuta ad un surriscaldamento delleconomia, che continua a crescere ad un ritmo superiore al 10% annuo, come se la crisi mondiale non ci fosse mai stata. Mentre la nostra è cattiva, perché si accompagna ad una certa stagnazione. Tantè vero che gli economisti hanno coniato il termine stagflazione, proprio per indicare una congiuntura caratterizzata da poca crescita e tanta inflazione. Per fortuna non ci siamo ancora, perché la curva del pil non è proprio piatta e quellinflazione non è esplosiva. Ma di mezzo cè lo scenario internazionale, e in particolare quello del Mediterraneo, che oltre a produrre instabilità politica e militare, spinge allinsù i prezzi delle materie prime, e in particolare di gas petrolio e gas (che già da tempo salivano per loro conto). Cosa potrà succedere? Non è difficile immaginare che le conseguenze saranno meno crescita e più inflazione. Cioè stagflazione. La quale non può che procurare maggiore disoccupazione.
E qui siamo ad un altro motivo di emicrania. Sempre ieri lIstat ci ha detto che la nostra quota di disoccupati è pari all8,6%, contro il 9,9% dellEuropa delleuro, ma nello stesso tempo che quella giovanile è al record storico del 29,4%, dieci punti in più di Eurolandia. Dunque, conta maggiormente il primo o il secondo dato? E perché cè questa asimmetria? La spiegazione laveva già data tempo fa Bankitalia, quando ha calcolato che comprendendo una quota di cassintegrati destinati a non rientrare in aziende che purtroppo finiranno per chiudere o ridimensionarsi e la cosiddetta area degli scoraggiati (quelli che immaginando di non trovare più lavoro non siscrivono nelle liste di collocamento) la disoccupazione da noi sarebbe dell11%, cioè un punto abbondante in più dellEuropa. E il dato di un giovane su tre che è a spasso lo sta a testimoniare. Così come dimostra la fragilità del nostro mercato del lavoro il fatto che il tasso di occupazione cioè quanti lavorano tra coloro che sono nella fascia di età tra i 16 e i 64 anni è sceso di un punto e mezzo al 56,7%, ben distante sia dalla media Ue sia dalla locomotiva dEuropa, la Germania, che proprio ieri ha celebrato la discesa del numero di disoccupati a 3 milioni, il livello più basso dal 1992. Motivo in più per prendere un analgesico. E, suggerisco, tenetevene una buona scorta a portata di mano per i prossimi tempi
Il mal di testa dell’economia italiana
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