L’impressione è che ci stiamo dirigendo verso una sospensione dell’azione di governo, eppure lo spazio (cinque mesi) che ci separa dalle urne equivale quasi a metà del tempo fin qui trascorso a Palazzo Chigi da Mario Monti. Il rischio è che la sacrosanta competizione tra i partiti e il battage sulla scelta dei candidati monopolizzi il discorso pubblico e si finisca per dare per scontato che il Parlamento non debba più lavorare. Senza voler sottovalutare le discontinuità introdotte dal governo dei tecnici è però evidente a tutti che il Paese non è guarito dalle sue malattie. Il debito pubblico è arrivato a quota 1.995, a soli cinque miliardi dalla soglia psicologica dei 2 mila miliardi. Lo spread , che testimonia il giudizio dei mercati, continua a veleggiare attorno a quota 360. La disoccupazione ha fatto segnare il record e purtroppo la tendenza è tutt’altro che invertita. Il sistema delle imprese è in grave sofferenza, perché se è vero che chi ha trovato la via dell’export sta ottenendo risultati positivi, il mercato interno è quasi totalmente fermo. Le nostre città stanno lentamente cambiando volto e i segni della depressione dell’economia cominciano ad essere visibili nelle zone industriali e nelle vie dei centri storici.
Ricordare tutto ciò non è un esercizio polemico, vuole essere solo un richiamo a non interrompere l’azione di governo e a non archiviare frettolosamente l’agenda Monti. Paradossalmente la Spagna, la cui condizione di salute è peggiore della nostra, ha dalla sua il vantaggio di godere di quattro anni di continuità del governo Rajoy mentre davanti a noi si stagliano mesi di vuoto inerziale ai quali nemmeno sappiamo se seguirà la formazione di una maggioranza stabile e coesa. Il premier Monti a più riprese ha sostenuto (giustamente) l’inopportunità per l’Italia di dotarsi di quell’ombrello protettivo rappresentato da un memorandum d’intesa sottoscritto con le autorità internazionali. Però doverlo firmare proprio a ridosso dei comizi elettorali non costituirebbe una scelta neutra dal punto di vista degli equilibri politici e potrebbe influenzare negativamente l’orientamento degli elettori. Ma – e c’è un grosso ma – di fronte a una paralisi dell’azione di governo crescerebbe il novero di quanti già da oggi chiedono l’apertura di quel parafulmine.
Se vogliamo combattere l’inerzia ed evitare di sottostare ad una scelta che si presenta dolorosa e divisiva non c’è bisogno di anticipare la data delle urne. Sarebbe importante, intanto, che le forze politiche dessero prova della propria responsabilità, impegnandosi a non promettere ciò che non potranno mantenere una volta al potere. Il governo, dal canto suo, dovrebbe continuare ad esercitare la sua azione con la medesima intensità e concentrazione senza sciogliere le righe. Lo deve fare innanzitutto per coerenza: la stragrande maggioranza delle decisioni prese sulla carta non è stata ancora implementata e i prossimi cinque mesi possono essere correttamente utilizzati per contrastare le lungaggini degli apparati burocratici e rendere esigibili le misure varate. Il periodo che ci porterà da qui all’aprile del 2013 non può, dunque, essere considerato come un accidente della storia e i motivi sono almeno due: il disagio delle forze produttive non rispetta le sospensioni elettorali e il giudizio della comunità internazionale sull’esperimento Monti (e di converso sull’Italia) sarà formulato alla fine del percorso, e non ai due terzi.
Il logorio dei tecnici
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