Loccupazione ed il lavoro saranno tra i temi principali di una campagna elettorale per molti aspetti già iniziata. Lo ha posto in primo piano, ad a tutto tondo, il leader in pectore dellUnione, Romano Prodi. Se le primarie indette dal centro sinistra per il 16 ottobre confermeranno il suo ruolo e se lo schieramento oggi allopposizione vincerà, uno dei primi provvedimenti sarà quello di abrogare il complesso di norme che vanno sotto il nome di legge Biagi. Prodi conosceva bene Marco Biagi, vivevano a meno di duecento metri di distanza, dice di esserne stato grande amico (anche se, nonostante fosse influente docente dellateneo felsineo non è mai riuscito a fargli avere la tanto desiderata chiamata a Bologna) e sostiene che il Governo ed il Parlamento hanno stravolto il pensiero del giuslavorista: al posto della flessibilità regolamentata che sarebbe stata nei progetti di Biagi , avrebbero attuato una precarizzazione sfrenata.
Siamo uomini di mondo. E sappiamo come sono andate le cose: la legge Biagi altro non è che lattuazione logica e conseguenze di quel pacchetto Treu il cui iter iniziò negli Anni Novanta e che era articolato su una graduale flessibilizzazione (peraltro molto regolamentata) del mercato del lavoro. Molto più timida dellinsieme di norme che vanno sotto il nome di Hartz IV attuate in Germania da un Governo rosso-verde di centro-sinistra. Sappiamo anche che il Prof. Romano Prodi ne è ben consapevole. Ha dovuto fare una concessione a Fausto Bertinotti, il quale ha trovato nellabrogazione della legge Biagi un vessillo per raccogliere le proprie truppe analogo alla proposta settimana lavorativa di 35 ore tramite la quale nel 1998 fece cadere un Governo di centro sinistra proprio guidato da Romano Prodi in persona. Sappiamo, infine, che la crescita delloccupazione e la riduzione del tasso di coloro che cercano lavoro sono tra i successi visibili di maggior momento che può mettere in campo lattuale maggioranza.
In Italia, il tasso di disoccupazione è diminuito di due punti percentuali negli ultimi quattro anni arrivando al 7,5% delle forze lavoro. Ciò è in marcata controtendenza con la media europea dove tra i Paesi di maggiori dimensioni unicamente la Spagna ha avuto unesperienza simile, mentre in Francia e Germania si è rimasti arroccati a tassi di disoccupazione rispettivamente attorno al 10% ed al 12%. E proprio vero che, come sostiene lopposizione, laumento delloccupazione registrato dai dati Istat rifletterebbe lavori non buoni (forse cattivi?) in call centers e pizzerie oppure in servizi domestici soprattutto per extra-comunitari. I dati, inoltre, sarebbe gonfiati dalla registrazioni a ragioni di sanatorie (relative ancora una volta agli extra-comunitari). LIstat (istituto noto per limparzialità) segue nellindagine sulle forze di lavoro rigorosamente metodi e procedure Ocse tali da non rendere possibili gonfiamenti da registrazioni post-sanatorie.
Lanalisi nuda e cruda dei dati dice, poi, che le categorie che più hanno tratto vantaggio dalla riduzione della disoccupazione sono i giovani e le donne (gruppi il cui accesso alloccupazione è stato spesso bloccato dalle rigidità esistenti prima delle norme che vanno sotto il nome di legge Biagi). Sono tutti finiti nei call centers o a vendere pizze oppure a pulire le scale di condomini oppure ancora a tentare di piazzare enciclopedie, aspirapolvere, polizze di assicurazione e fondi comuni? Non è andata affatto così : è aumentato molto il lavoro autonomo e professionale e loccupazione nei servizi.
Anche ove fosse andata come descritto in certi quadri a tinte fosche, non sarebbe necessariamente un male .David Audretsch (Max Planck Institute) Martin A. Carree, Rory Thurik (ambedue dell Università di Rotterdam), e A.J. Van Steel (Ministero del Lavoro dei Paesi Bassi) tutti distinti e distanti dalle beghe e dalle primarie nostrane- hanno esaminato le dinamiche del mercato del lavoro in 23 Paesi Ocse del 1994 al 2002 giungendo alla conclusione che anche quando si inizia con lavori precari si sprigiona un effetto imprenditoriale che porta o alla creazione di vere e proprie imprese od ad occupazione permanente in seno ad esse. Ancora più positive le analisi di Michael Moynagi e Richard Worsley nel volume Working in the 21st century pubblicato due settimane in Gran Bretagna nellambito del progetto Future of Work: con una ricca messe di dati (anche italiani) mette una pietra tombale su tutta la letteratura sociologica sulla fine del lavoro e dimostra che è in atto una trasformazione verso lavori buoni in cui grazie alle tecnologia ciascuno può definire le proprie modalità ed i propri orari. Lo conferma il World Employment Report 2005 dellInternational Labour Office (non certo un pensatoio del centro destra) . Infine, lEconomist Intelligence Unit (altro istituto che non ha mai guardato con grande simpatia lattuale Governo italiano) dedica uno studio al fatto che la contrazione delloccupazione nel manifatturiero e lespansione di quella nei servizi (altra caratteristica evidenziata dai dati Istat) è segno di progresso economico e sociale non di declino. Non solo ma la stessa logica della riduzione degli orari di lavoro allo scopo, vero o presunto, di attivare nuove opportunità di lavoro (a chi non ce le ha e le cerca) pare appartenere al passato. Daniel Hamermesh (dellUniversità del Texas) e Joel S. Slemrod (dellUniversità del Michigan) sono tornati di recente su un tema già analizzato alcuni mesi fa su ItaliaOggi : leconomia del workaholismo, ossia dellintossicazione da troppo lavoro che richiede sempre più lavoro. Quantizzano come ormai sia diventato un problema serio non solo negli Usa far sì che certe fasce del mercato del lavoro vadano in pensione quando sarebbe logico. Tanto più che la Corte Suprema ha dichiarato discriminatori contro gli anziani i limiti di età che costringono alla quiescenza. Il troppo lavoro per alcune categorie rischia di diventare uno dei problemi centrali del 21simo secolo.
Il lavoro e la campagna elettorale
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