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Il lavoro c’è, la voglia di sacrificarsi no

Può un paese avere, al tempo stesso, alta disoccupazione e carenza di manodopera? Sì è la risposta del nostro Paese: pur in presenza di una disoccupazione ancora vicina al 10% e di un tasso di attività fra i più bassi dei paesi industriali, le imprese del nostro Paese hanno crescenti difficoltà a trovare manodopera disponibile.
Ormai ci siamo abituati a questa situazione e siamo riusciti anche a trovare mille giustificazioni. La disoccupazione esiste dove non c’è lavoro disponibile; le persone non cambiano residenza perché i costi di abitazione sono troppo elevati; i disoccupati non hanno le qualifiche necessarie per occupare i posti disponibili; i salari eguali in tutto il paese non consentono aumenti di occupazione nelle regioni a più forte disoccupazione e non attirano giovani dalle regioni più povere; la carenza di infrastrutture e di case rende difficile la mobilità sul territorio; i giovani hanno tendenza a ritardare la fine degli studi ed a restare in famiglia; la rigidità del mercato del lavoro non consente adattamenti e così via.
In effetti, mille sono le ragioni di questa anomalia, ma mille sono anche le ricette esistenti per contrastare una tendenza all’immobilismo che è l’altra faccia di un paese che sembra aver rinunciato a crescere. Lo sviluppo di un paese è possibile solo se gli abitanti del paese stesso sono propensi al cambiamento.
Certo, ognuno vorrebbe che il cambiamento fosse sempre positivo ed immediatamente remunerativo. Ma lo sviluppo ha anche dei costi che vengono poi rimborsati con una maggiore ricchezza successiva. I giovani che oggi rifiutano di muoversi dalla loro famiglia per fare un lavoro poco remunerato in una località diversa, ove le spese di sopravvivenza (mangiare e dormire) eguagliano quasi la remunerazione iniziale, fanno un calcolo giusto da un punto di vista aritmetico, ma errato da un punto di vista economico. Il primo lavoro è spesso poco remunerativo, ma rappresenta un investimento per il proprio futuro: è quello in cui si apprende in termini di professione, di capacità a risolvere i propri problemi, di persone, di occasioni, di nuove professioni costituisce la ricchezza di domani. Sulla base di questi sacrifici si costruiscono carriere e percorsi personali di successo. Se invece si sceglie di stare fermi, si fanno minori sacrifici oggi ma non si costruisce nulla ed il futuro rischia di essere ben peggiore di un presente fatto di lavori poco remunerativi.
L’Italia deve riscoprire la voglia di crescita e gli ultimi dati sull’occupazione indicano che qualche cosa si muove. L’aumento dell’occupazione nel corso del 2000 è stato forte ed è derivato in parte anche da lavori più flessibili (a tempo determinato, a tempo parziale, ecc.). Sono aumentati i nuovi occupati, ossia persone che prima si dichiaravano non disposte a lavorare se non a precise condizioni (di reddito, di luogo o di professione), sicché ne è derivato un aumento anche del tasso di attività. E’ ripresa, seppur in piccole dosi, una maggiore mobilità sul territorio, i giovani ed i meno giovani stanno cominciando ad accettare di spostarsi per occupare posti di lavoro.
Lentamente la macchina del lavoro si sta rimettendo in moto. Anche la crescente presenza di immigrati sta fornendo un contributo positivo allo sviluppo del nostro paese.
E’ importante che queste tendenze spontanee siano favorite da politiche che rendano più facile la mobilità degli occupati sul territorio e per evitare che la crescita del paese sia limitata da disponibilità di manodopera pur in presenza di larghe sacche di inoccupazione. Si tratta di favorire la formazione professionale, di allargare l’offerta di abitazioni, di consentire una maggiore articolazione delle remunerazioni, di sostenere finanziariamente chi accetta di muoversi, di garantire al paese una maggiore e migliore accoglienza ai flussi di immigrati che vengono dagli altri paesi.
Solo un paese che sappia garantire una mobilità non conflittuale e priva di tensioni sa affrontare la crescita economica necessaria per modernizzarsi. Solo in questo modo l’Italia potrà crescere senza supporti artificiali e senza disastrose tensioni.

Fonte: Gente Money - Maggio 2001

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