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Il governo dei prof ha perso l’agenda sull’Italia digitale

Internet a banda larga, e-commerce e imprese: è tutto fermo. Così Monti ha vanificato gli sforzi per allinearci all’Europa.
È davvero un gran peccato, una buona occasione, l’ennesima, sprecata. «L’obiettivo del Semplifica Italia, varato il 10 febbraio, è di modernizzare i rapporti tra pubblica amministrazione, cittadini e imprese,puntando sull’agenda digitale e l’innovazione».
Con questa frase iniziava il paragrafo «semplificazioni» del dossier «governo Monti»: l’attività dei primi 100 giorni», presentato in pompa magna dall’esecutivo guidato dal professore lo scorso 24 febbraio. A tre mesi da quel documento, a tre mesi dall’annuncio di un’Agenda digitale italiana e, soprattutto, a sei mesi dall’insediamento del nuovo governo tutti i buoni propositi, gli ottimi presupposti sono ancora lettera morta.
La scorsa settimana il premier, inaugurando il Forum Pa 2012, ha affermato che «presto ci sarà il piano d’azione per l’Agenda digitale». Beh, non se la prenda a male il professore, ma cominciamo a nutrire qualche dubbio. Dopo la confusione delle deleghe sull’innovazione o la regia virtuale per l’agenda digitale ora il piano d’azione che non c’è. Nessuno mette in dubbio la volontà del premier di accelerare sul digitale ma qualche fatterello oramai avremmo dovuto vederlo.
E pensare che l’Agenda digitale può essere davvero il catalizzatore di un nuovo ciclo di sviluppo. Da lì può nascere di tutto. Investimenti per completare la rete tecnologica e per razionalizzare i data center pubblici e privati, regole per rendere effettivi i diritti del nuovo codice per l’amministrazione digitale, un uso «smart» delle città come degli apparecchi televisivi, infrastrutture informatiche per la scuola o per la giustizia. Non attraverso risorse aggiuntive ma grazie ad un uso intelligente del «dividendo digitale», della maggiore produttività offerta dalla tecnologia.
In questi mesi invece si è solo perso tempo. Non si è andati più avanti sulla fatturazione e sui pagamenti elettronici, si è tanto parlato di banda larga o di promuovere la piccola impresa innovativa ma nulla è stato fatto, la comunicazione certificata o l’identità digitale sono progetti tanto sbandierati come strategici quanto accuratamente tenuti nel cassetto. La dematerializzazione della pubblica amministrazione è una parolaccia da non pronunciare. La sicurezza della firma digitale da remoto è congelata da mesi. Non sarebbe poi così grave se dietro ci fosse un disegno, una strategia, almeno un sogno. Quel che preoccupa è che dietro c’è solo uno spazio lasciato vuoto per le scorribande della peggiore burocrazia.
Alle innovazioni servono anche numerose occasioni di confronto, di aggregazione della domanda, come una palla di neve che rotolando cresce fino a conquistarsi la forza di spazzar via il pre-esistente. Certo non tutte arrivano alla fine e non ogni cosa nuova è di per sé positiva, ma se non si aprono spazi per raggiungere rapidamente la massa critica le nuove idee rischiano di perdere forza ed esaurirsi facilmente.
Su entrambi i fronti è la pubblica amministrazione che si deve assumere il ruolo di presidio e di spinta all’avviamento. Nel presidio è la sua forza di indirizzo, visione strategica, coordinamento. Nelle leve di moltiplicazione la forza di redattore delle regole, acquirente di beni e servizi, concentrazione della domanda.
Il governo, dobbiamo riconoscerlo, ha saputo riconoscere presto e bene una opportunità che in questa duplice direzione, di presidio e di moltiplicazione della innovazione, l’Europa e il governo precedente hanno lasciato in eredità.
Esattamente due anni fa (il 19 maggio 2010) la Commissione europea ha proposto un programma di lavoro, intitolato «Un’agenda digitale europea» il cui obiettivo principale è sviluppare un mercato unico digitale per condurre l’Europa verso una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Il governo Monti con l’Agenda digitale italiana poteva iniziare a cogliere una duplice opportunità che il quadro europeo offre ai Paesi membri: una chiara visibilità sulle scadenze e sugli obiettivi che la Commissione intende dare a se stessa in materia di «economia digitale» nonché la possibilità di indirizzare e coordinare un vasto e complesso scenario di attività, progetti, iniziative e risorse che, in materia di digitalizzazione, sono da tempo in corso anche nel nostro Paese.
Essere coerenti con l’Agenda digitale europea, coordinare le diverse azioni, promuovere nuovo sviluppo attraverso un massiccio ricorso alle tecnologie Ict, favorire il mercato e l’accesso ai servizi dell’economia digitale sembrano essere così le parole chiave di questa ulteriore sfida di modernizzazione. Su questa strada il governo e i suoi ministri hanno trovato attenzione e disponibilità delle forze politiche, delle associazioni imprenditoriali, dei mezzi di informazione.
In questi mesi si è dedicata invece tutta l’energia (poca) a disposizione per fermare il lavoro in corso, per immaginare come smantellare progetti, iniziative, istituzioni, per confondere le idee con cattedrali nel deserto che non vedranno mai la luce. Dimenticando che la politica non è solo coordinamento strategico «alto» ma è anche sostegno e accompagnamento delle idee e delle azioni minute.
La revisione del Codice della amministrazione digitale dopo due anni stava entrando nella sua piena attuazione.Solo per citare alcuni degli ambiti di applicazione della nuova economia digitale alla pubblica amministrazione si possono elencare le firme elettroniche, i pagamenti online, la fatturazione elettronica, la dematerializzazione e conservazione digitale dei documenti nonché l’uso della posta elettronica certificata. Ciascuno di questi ambiti di applicazione offre riduzioni della spesa improduttiva, miglioramento dei tempi e della qualità dei servizi della pubblica amministrazione, apertura del mercato per le imprese private, spinta alla spirale dell’innovazione.
Ma, al tempo stesso, spiazza interessi, riduce la discrezionalità dei burocrati, impoverisce il micro potere di qualche funzionario di terza o quarta linea.
Per spostare l’obbligo di pubblicità legale sui siti istituzionali o prevedere il pagamento delle sole fatture ricevute in via elettronica, per dialogare solo con posta elettronica o erogare servizi solo online, per disegnare la ricetta medica elettronica o la totale decertificazione sono serviti anni di lavoro, norme primarie, investimenti dentro e fuori le pubbliche amministrazioni. Fermare e rinviare tutto è un errore imperdonabile.
Il decreto Semplifica Italia indica come elemento strategico della agenda digitale lo sviluppo del sistema pubblico di connettività «anche al fine di consentire la messa a disposizione dei cittadini delle proprie posizioni debitorie nei confronti dello Stato da parte delle banche dati delle pubbliche amministrazioni». Principio importante di trasparenza e efficienza amministrativa, peccato che mentre con grande clamore si dice di dare nel segreto delle stanze si smantella quel che di quella stessa infrastruttura era già stato fatto.
La spending review non può essere un esercizio accademico o un taglio indiscriminato (entrambi, come noto, sia dannosi che pericolosi) ha bisogno della tracciabilità di pagamenti e fatture, di razionalizzazione delle strutture organizzative pubbliche, di mobilità del personale, di infrastrutture informatiche razionali e funzionanti, di competenze adeguate. E via elencando. Rinunciarci è da incoscienti, è lasciare la vittoria a pochi cattivi burocrati privi di fantasia che non sia quella destinata a rafforzare la (propria) poltrona.
Senza presidio, appunto, non si fa politica dell’innovazione. Regista digitale, se ci sei batti almeno un colpo!

Fonte: Il Giornale del 21 maggio 2012

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