L’importante contributo di Romano Prodi con Alberto Quadrio Curzio sul Sole 24 Ore di ieri tenta di riallacciare le fila dello spirito europeista da cui è nata la moneta unica negli anni Novanta e di ravvivarne l’impulso per superare oggi la difficile crisi finanziaria europea.
La proposta prevede di conferire capitali a un Fondo finanziario europeo che emetta EuroUnionbonds per un ammontare triplo del capitale. Grazie alla leva, le risorse raccolte sarebbero ingenti. Rafforzerebbero le difese dell’area euro e offrirebbero munizioni a un piano di rilancio degli investimenti nell’economia.
La proposta si colloca all’estremo opposto rispetto allo scetticismo che nei giorni passati aveva fatto interpretare anche in Italia la contrarietà del governo tedesco al salvataggio degli altri Paesi come un vincolo istituzionale alla radice dell’euro. In effetti nemmeno la Corte costituzionale di Karlsruhe finora si è spinta tanto in là. Al contrario, di recente la cancelliera Angela Merkel ha reintrodotto nel discorso pubblico tedesco il termine di «solidarietà» europea, dopo averlo bandito nel febbraio 2010 proprio per timore che la Corte lo considerasse una motivazione di natura politica – ma giuridicamente non accettabile – della violazione della clausola di “non salvataggio” scritta nei Trattati.
Con il tempo anche a Berlino si è infatti capito che l’interesse della Germania per l’euro non era in contrasto con uno spirito di – non ingenua – solidarietà, necessario tra Paesi legati da un unico mercato e un’unica moneta.
Ma possiamo allora immaginare che la strada sia libera per proporre soluzioni tanto avanzate sulla strada dell’integrazione? Prodi e Quadrio Curzio ci sfidano a pensare a una soluzione in cui i Paesi non solo sostituiscano oggi parte del loro debito pubblico con titoli comuni, ma condividano come garanzia delle emissioni vaste proprietà, tra cui le maggiori aziende del Paese, e risolvano in un pool di capitale comune le riserve in oro del Sistema europeo di banche centrali. Implicitamente i proponenti pensano a un’area politica in cui la nazionalità delle imprese e dei bilanci ha sempre meno peso. Di fatto una condizione di unione fiscale e di perfetto funzionamento del mercato unico.
Il meccanismo per arrivarci “di soppiatto” ha un carattere intertemporale che è già stato usato in passato nella storia dell’integrazione europea. Esso prevede uno scambio tra benefici economici immediati per chi ha più da perdere nell’integrazione – le garanzie concrete da offrire ai tedeschi per evitare che essi cadano nella sindrome “pagheremo tutto noi” – e insieme un vincolo che produca molta maggiore integrazione politica in futuro. Si può però arrivare agli Stati Uniti d’Europa senza passare per il consenso democratico?
Non è un momento facile per una proposta così ambiziosa. È inutile tornare sull’esito del vertice Merkel-Sarkozy, o sul dibattito sulle garanzie chieste alla Grecia, per misurare il clima nei Paesi creditori. Più semplicemente si può usare una distinzione – di cui sono grato a Stefano Micossi (su voxEU.org) – tra proposte che sostituendo il debito nazionale con un euro-debito presuppongono l’esistenza di una politica fiscale unificata (o “come se” fosse unificata); e proposte che si preoccupano intanto di risolvere l’emergenza finanziaria in corso, garantire assistenza fiscale e, attraverso il sistema delle rigorose condizionalità dei prestiti, arrivare alla convergenza delle politiche di bilancio e infine all’emissione di eurobonds.
È chiaro che, nella migliore delle ipotesi, la posizione tedesca e francese corrisponde a questo secondo scenario. In quest’ottica diventa più facile capire perché Merkel e Sarkozy abbiano liquidato gli eurobonds come una “bacchetta magica” e ne abbiano ammesso l’utilizzo solo alla fine del processo di convergenza fiscale.
Anche in uno scenario di approssimazione (e non di anticipazione) all’unione fiscale è necessario tuttavia disporre di un’istituzione, un Fondo monetario o finanziario europeo, dotato di capitali propri, e quindi non legato ai bilanci nazionali, garante di efficace assistenza finanziaria ai Paesi in crisi. L’obiettivo può essere semplicemente quello di costruire un’istituzione molto simile al Fondo monetario internazionale, il quale nella sua complessa attività di assistenza e di imposizione di condizioni politiche ed economiche non ha mai perso soldi e molto raramente ha dovuto ricorrere al default del Paese assistito. Entrambi i risultati dell’esperienza del Fondo dovrebbero rassicurare da un lato il contribuente tedesco e dall’altro cittadini e investitori dei Paesi assistiti.
La dimensione della sfida che l’euro-area deve affrontare in queste settimane è tale che anche la soluzione “graduale” del Fondo deve assicurarsi la possibilità di usare un ampio capitale proprio e una leva finanziaria per aumentare le proprie risorse. Ma se si rinuncia a finanziarlo con eurobonds, bisogna pur sempre trovare qualche altro mezzo che offra garanzie comuni, come enfatizzato da Prodi e Quadrio Curzio.
Che uno stimolo politico sia necessario lo dimostrano le difficoltà con cui si confronta il Consiglio Ue ogni volta che discute il ridisegno dell’Efsf, il fondo salva stati già in funzione. A ben vedere, infatti, nemmeno evitando il salto in avanti dell’integrazione fiscale il tema politico può essere aggirato. Se il Fondo deve imporre condizioni severe e farle rispettare, il tema delle decisioni democratiche in Europa non potrà essere nascosto troppo a lungo sotto la sola logica delle emergenze.
Il filo ritrovato dell’Europa dei fondatori
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