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Il fallimento di Fli dipende dalle poltrone ma soprattutto dal futuro politico

Nei suoi percorsi istituzionali Gianfranco Fini si sarà certo imbattuto – in centinaia di città della penisola – nella lapide in cui è inciso il Bollettino della vittoria nella grande Guerra, firmato dal Maresciallo Armando Diaz. E si sarà soffermato a leggere l’ultima frase e a meditare. Ci permettiamo comunque di ricordarla: “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”.
In verità il Fli non è mai stato un “esercito potente”, ma che abbia vissuto una vita breve e che stia per fasciarsi per implosione è ormai evidente. E hanno fatto tutto da soli, Fini e gli ex colonnelli scissionisti. A piccoli gruppi, un po’ alla chetichella, un po’ per celia un po’ per non morir, si è liquefatto il gruppo del Senato mentre quello della Camera, l’epicentro del potere finiano, continua a perdere pezzi mediante uno stillicidio quotidiano di passaggi al gruppo dei c.d. responsabili o di ritorni nel PdL. Ed è veramente singolare che – nel silenzio del Presidente della Repubblica in altri casi piuttosto propenso alle esternazioni – il Presidente della Camera, anziché difendere, si azzardi ad offendere dei parlamentari accusandoli, in pratica, di corruzione. Veramente la misura è colma.
Ma che cosa ha scatenato quel cupio dissolvi che sta mandando a monte un’operazione politica, sostenuta dai poteri forti, dai media e salutata come il pezzo mancante per completare il puzzle della congiura contro Silvio Berlusconi? Un’operazione politica che partiva da lontano e che era stata accelerata dalla decisione della Direzione del PdL di attaccare, alla fine del luglio scorso, direttamente Fini (invece che limitarsi a colpire la trojka Bocchino-Briguglio-Granata) provocando una levata di scudi e un impeto di solidarietà nei suoi confronti. Per alcuni mesi Fli è rimasto un alleato fedele nel centro destra, ha votato la fiducia al Governo in settembre. Poteva persino considerarsi in credito nei confronti del PdL, proprio perché era stato Berlusconi ad aprire le ostilità. Poi i rapporti sono degenerati: Fini ha fatto dimettere i ministri e Fli ha tirato la volata alle opposizioni nel voto di fiducia decisivo del 14 dicembre. Errore imperdonabile non solo perché l’effetto-rimbalzo della vittoria del Cav è stato pesante sul piano politico, ma soprattutto perché la mozione sfiduciava un esecutivo di cui i ministri di Fli avevano fatto parte e che aveva dato buona prova in un contesto molto difficile di crisi.
Da quel momento, insieme con le disavventure giudiziarie del premier, Fli è passato armi e bagagli alla “banda degli onesti” che si sono messi a chiedere le dimissioni di Berlusconi, rivolgendogli critiche e accuse al limite dell’insulto. Anche in questo caso nessuno ha notato l’incongruenza istituzionale di un presidente della Camera che passa gran parte del suo tempo ad attaccare il capo del Governo. Ma l’ultimo atto della crisi si è svolto al Congresso di Milano e nelle ore immediatamente successive quando è stato definito l’organigramma del partito.
I problemi però non derivano solo da questioni di poltrone. Le differenze emerse riguardano la linea politica, non tanto quella dichiarata nel dibattito congressuale, quanto piuttosto la sola possibile nel vicolo cieco in cui Fli si è infilato. In sostanza, coloro che se ne vanno sbattendo la porta non lo fanno perché Italo Bocchino, diventato vice presidente, non disdegna il formarsi di una grande coalizione allo scopo di cacciare il tiranno: una sorta di Comitato di liberazione nazionale, comprensivo di un nuovo arco costituzionale che escluda il PdL e la Lega (ovvero il partito dei corrotti e quello degli anti-italiani) e che, una volta liberato il Paese dal premier-donnaiolo, riproponga una sana competizione tra destra (ripulita) e sinistra. Fini si è accorto di questa deriva ed ha cercato di ricollocare il suo partito nello schieramento moderato. Ma è stato tutto inutile, perché Fli non ha, nei fatti, altre prospettive di quelle sostenute da Bocchino. Una linea politica che ha un solo obiettivo – quello di cacciare Berlusconi – è spinta inevitabilmente a fare di Fli il cavallo di Troia dell’offensiva antiberlusconiana: una impostazione propria di coloro che non esitano a segare il ramo su cui stanno seduti. Gli altri se ne sono resi conto e non intendono proseguire su quella strada.

Fonte: Occidentale del 21 febbraio 2011

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