Il voto americano finisce dove sarebbe dovuto iniziare: in una scelta sul capitalismo. Gli Stati Uniti e il mondo intero continuano a vivere le conseguenze della maggiore crisi finanziaria degli ultimi 70 anni. Ma è come se dal 2008 nessuno si sia ancora potuto permettere una vera riflessione sulla giustizia e sull’ingiustizia della crisi.
Dopo quattro anni di polemica partitica infuocata e una campagna elettorale costata miliardi, la scelta tra Barack Obama e Mitt Romney sarà un surrogato inadeguato di questa riflessione.
Non molto ha potuto cambiare dopo la crisi di Wall Street nel modo in cui il capitalismo funzionava perché l’esigenza è stata da subito quella di rimettere in moto la macchina che si era inceppata nel 2008.
È l’antica questione della priorità di ciò che è bene (o conviene) su ciò che è giusto, anziché il contrario. Questa deriva utilitarista fa pensare a molti che alla fine, ancora una volta, chiunque vinca tra Obama e Romney non molto cambierà, perché a prevalere sarà pur sempre il calcolo pragmatico dei costi e dei benefici. Ma se le parole hanno un senso – anche quelle di due candidati in campagna elettorale – allora esse raccontano un storia diversa.
La visione di Obama è espressa in un discorso tenuto alla fine dello scorso anno in Kansas nella stessa cittadina in cui Theodore Roosevelt un secolo prima aveva posto le basi del progressismo americano. «C’è un certo mondo attorno a Washington esordì Obama – che negli ultimi decenni ha detto di voler fare le cose come sono sempre state fatte: penserà a tutto il mercato, basta tagliare la regolazione e le tasse dei ricchi e la nostra economia crescerà più forte.
Anche se i benefici non arriveranno giù fino ai più poveri, pazienza, questo è il prezzo della libertà. Si tratta pur sempre di una teoria, ma il problema è che questa teoria non funziona e non ha mai funzionato». Mitt Romney è l’esatto antagonista di questa visione. Come esponente di successo del capitalismo americano è un testimone convinto di una visione ottimista e temeraria delle virtù del mercato: «Il benessere non dipende mai dallo Stato, ma dalla libera iniziativa di spiriti liberi».
Alle virtù del mercato sono associati valori tradizionali della storia americana, la libertà in primo luogo, e agire liberamente non significa scegliere i mezzi per un determinato fine, ma scegliere il fine stesso. I democratici contestano ai repubblicani che il mercato non sembra più uno strumento, ma il fine stesso della politica. Per i repubblicani è il contrario, sono i democratici a considerare lo Stato il fine della politica. Rapidamente in campagna elettorale è diventato centrale il tema delle tasse e così la disputa sul capitalismo si è trasformata in una disputa sul ruolo e i limiti dello Stato.
I programmi elettorali rispecchiano le differenze ideologiche. Romney vuole ridurre il deficit dello stato solo con minori spese pubbliche, mentre Obama propone che un quarto della correzione di bilancio sia operata con maggiori entrate lasciando scadere i tagli fiscali di Bush sui redditi più alti. Sull’assistenza sanitaria agli anziani, Obama intende controllare la spesa del programma Medicare attraverso un’agenzia indipendente con il potere di frenare le uscite controllando i prezzi e limitando i rimborsi nel caso di cure non necessarie. Romney invece vuole trasformare il sistema attuale in un meccanismo che dia a ogni assistito un assegno fisso che possa essere speso per acquistare un piano di assicurazione privato stimolando la competizione tra le assicurazioni. Anche sulla regolazione della finanza e delle imprese, Romney intende revocare i controlli introdotti negli ultimi quattro anni, compresa la legge Dodd-Frank.
A occhi europei, avvezzi alla convivenza di stato e mercato in un sistema di economia sociale di mercato, è difficile capire come lo scontro ideologico possa essere tanto radicale. A uno sguardo europeo, in particolare può sembrare sorprendente, dopo milioni di disoccupati e miliardi di debiti causati dalla crisi, che la visione vitalista del mercato e dei benefici fiscali per i più abbienti sia sopravvissuta con tale forza da convincere metà dell’elettorato, gran parte del quale non trarrebbe beneficio diretto dalle politiche che sostiene. Ma, come detto, quattro anni sono passati dalla crisi di Wall Street senza che una vera riflessione sul funzionamento del capitalismo sia stata fatta. Nella mattina di oggi sapremo che questa scelta fondamentale sarà stata presa da un numero molto piccolo di elettori a favore dell’uno o dell’altro candidato.
Il dilemma irrisolto
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