Quando una formula di governo s’inaridisce, di solito all’opposizione spunta un’alternativa. Qui invece, saltano gli schemi senza che appaia un’alternativa. L’incapacità di proporla nella maggioranza è palese, nell’opposizione si nasconde dietro la richiesta di un governo di transizione che la propizi. Quando la crisi esploderà, l’esito dipenderà dalle scelte di coloro che la crisi ha lasciato orfani: quelli del berlusconismo e quelli dell’antiberlusconismo.
Ci sono diversità e asimmetrie nel modo in cui la crisi investe destra e sinistra. La crisi del berlusconismo, al di là dei fatti fortuiti che la possono far precipitare, è fisiologica: avvicinandosi la fine del suo ciclo, il capo perde il suo potere coalizionale; la sua capacità di governare, già non eccelsa, va in stallo. La crisi dell’opposizione è più complessa, come dimostra il modo in cui affronta la transizione: invece di affrettarla, cerca di rinviare il momento della verità, quando gli elettori scelgono da chi essere governati. Per un antico riflesso condizionato, anche questa volta prima di tutto esige che si rimettano indietro le lancette dell’orologio. Avanza la pregiudiziale di rivedere la legge elettorale, non solo per eliminare l’indigeribile indicazione dei candidati da parte delle segreterie dei partiti, ma per decidere della più politica delle materie, il sistema elettorale. Stila un programma di transizione che va dal “restauro costituzionale” al “federalismo serio” alla “riforma della giustizia”: tutti i problemi con cui si sono invano cimentati i governi, anche di centro-sinistra, da oltre 20 anni.Vorrebbe resuscitare addirittura il Cln per cacciare Berlusconi.
Questa crisi provocherà uno spostamento di elettori da un campo all’altro? Senz’altro muterà l’offerta politica, la geografia. A destra, pronti ad accogliere gli orfani del berlusconismo ci sono Fini, la Lega e Casini, condizionati dalla necessità di non pregiudicare gli investimenti fatti per definire le proprie identità; gli epigoni e i diadochi, in competizione per l’eredità del Pdl; forse qualche outsider centrista. È a sinistra che il quadro appare più incerto. Nel Pd, la tensione tra ex diessini ed ex margheritini, la tentazione di diventare un compiuto partito socialdemocratico, anche per recuperare quel 20% di voti alla sua sinistra, sono un déjà vu. Di nuovo oggi c’è il problema di trattenere gli antiberlusconiani di cui è stato il collettore. Quanti di loro non si fidano dell’a-berlusconismo di Casini, e hanno troppa considerazione di sé per votare Grillo o Di Pietro, hanno delegato la sinistra, Pd e dintorni, a rappresentare la propria avversione al berlusconismo. Per quasi un ventennio sono stati rassicurati nella propria superiorità politica e morale, infiammati di indignazione per il conflitto di interesse, giustificati nella sconfitta dalla superiorità monopolistica dell’informazione, cresimati nel dogma dell’intangibilità della Costituzione.
Sapranno gli orfani dell’antiberlusconismo, non più ossessionati dalla paura del “caimano”, o del “regime”, usare la ritrovata libertà per giudicare le politiche per quello che sono e non per i vantaggi”ad personam”che assicuravano al premier? Per riconoscere che riequilibrare i rapporti tra ordine giudiziario e potere politico, tra sindacati e imprese, tra fisco e cittadini sono la vera priorità per il paese?
L’antiberlusconismo è stato la stampella del berlusconismo: ora questa simmetria non ha più ragion d’essere. Non erano originali le parole con cui Berlusconi ha vinto, ma è stato il primo ad avere convinto e ad essere creduto: se per 16 anni ha preso il voto di metà degli italiani, elezione dopo elezione, nonostante le tante cose da farsi perdonare – in primo luogo di non avere mantenuto le promesse – è anche perché chi avrebbe potuto forse meglio di lui liberare il paese dalle sclerosi e modernizzare linguaggio e istituzioni politiche ha preferito chiudersi nel rifiuto. Si tratterà di vedere se, dopo aver sostenuto antiberlusconismo e anticraxismo, ora vorrà avere un ruolo non subordinato, nel guidare il paese fuori dalla palude e dalla stanchezza.
Il dilemma degli orfani di Silvio
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