Così come il ministro Bordon, che voleva spegnere RadioVaticana per presunto inquinamento elettromagnetico, anche il ministro dell’Industria Enrico Letta ha colto il momento elettorale per fare il pieno di popolarità ergendosi a difensore degli automobilisti vessati dalle compagnie di assicurazione.
Il suo è un calcolo politico che ha poco a che vedere con la soluzione del pasticcio italiano delle assicurazioni auto il quale, va detto con onestà, vede colpevoli gli automobilisti non meno che i politici e gli assicuratori.
Per rendersene conto occorre tornare agli anni Settanta, quando i governi della prima Repubblica introducono in Italia l’obbligo per legge di assicurare i veicoli contro la responsabilità civile auto ( Rca). Lo Stato decide cioè, per motivi si sicurezza sociale, di regalare alle compagnie di assicurazione un mercato sicuro e grande ma, come contropartita, impone loro premi sulle polizze auto fissati dal Governo. Nascono così le tariffe assicurative fissate dal ministro, sulla base di un sistema di calcolo dirigista, politico, poco efficiente che ogni anno vede un mercanteggiamento tra l’Ania ed il Ministero dell’Industria. La selezione solitamente operata dal mercato viene sostituita da quella, assai meno lucida, dei burocrati.
Come ogni mercato in cui non è la concorrenza regolata a fissare i prezzi ma le stanze ministeriali ed i calcoli della politica, il sistema non funziona. Le compagnie più solide e professionali che riescono a ripartire i rischi tra diversi rami ed a migliorare l’efficienza interna, reggono e si consolidano finchè possono; le altre o falliscono o abbandonano il mercato italiano lasciando sul gruppone degli automobilisti il peso di fallimenti e salvataggi. Sì, proprio sugli automobilisti, perché una iniqua ed incostituzionale norma, vigente ancora oggi, impone a tutti gli automobilisti di pagare un sovrappiù sulle polizze per finanziare un fondo di salvataggio delle compagnie fallire. Si tratta di una protezione sociale, come tale dovrebbe essere a carico di tutti gli italiani attraverso la fiscalità, invece viene scaricata solo su una parte di essi, quelli proprietari di automobili. E’ la prima stortura; annotiamola, perché ce n’è una seconda.
Si verificano molti casi in cui, a causa di incidenti causati da automobilisti non assicurati, si pone il problema di indennizzare eventuali vittime innocenti e beffate. Lo Stato decide di istituire così una sorta di “salvagente” il ” Fondo vittime della strada”. Ma, ancora una volta, come per i fallimenti, carica sulle polizze il costo del finanziamento di questo Fondo oggi pari al 4% dei premi Rca. Cioè, scarica ancora sugli automobilisti un onere che dovrebbe essere sostenuto da tutti i cittadini e non solo da alcuni. E’ la seconda stortura del mercato frutto del vizio di origine, uno Stato dirigista.
Nel 1994 le tariffe amministrate vengono sostituite da quelle semilibere, ma l’obbligo di assicurazione rimane e rimangono i balzelli sociali sulle polizze. In strati sempre più larghi degli automobilisti italiani, nel frattempo, si fa strada una mentalità truffaldina fatta di perizie gonfiate, testimoni inventati, liquidazioni esagerate, “colpi di frusta” immaginari da tamponamenti sempre più frequenti e virtuali. Una reazione alle vessazioni stataliste? Una deriva illecita colpevolmente tollerata perché sempre più diffusa? O sempre più diffusa perché tollerata? Fatto sta che le compagnie trasferiscono sulle tariffe il costo delle truffe e degli oneri impropri subiti. Gli automobilisti disonesti pagano il prezzo della loro disonestà, quelli onesti una tassa occulta sulla criminalità automobilistica altrui. Tutti indistintamente paghiamo le tasse occulte degli oneri impropri frutto dello statalismo.
A Napoli assicurare un’auto costa anche 30 milioni l’anno? Ad un diciottenne neopatentato anche 15? Lo scandalo sarebbe obbligare l’automobilista a pagare quei prezzi e non dargli alternativa. In realtà invece le alternative, come mostrano i dati del ministero, esistono eccome. Ed allora basta sceglierle. Le polizze milionarie nascondono in realtà la volontà delle compagnie di ritirarsi dal settore dell’assicurazione auto, cosa che non possono fare per via dell’obbligo di legge; sono l’effetto, non la causa, di un mercato distorto da una confusa invadenza statalista.
E’ qui il bandolo del pasticcio assicurativo. Bene ha fatto il ministro Letta ad imporre pubblicità alle condizioni di polizza. Ma perchè aspettare la vigilia delle elezioni del 2001 se i ministri dell’Ulivo e della sinistra governano fin dal 1994? La cultura della trasparenza, quando arriva in campagna elettorale, è sempre un po’ sospetta.
Il caro-polizze è la tassa occulta dello statalismo
Commenti disabilitati.