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Il cambio lira-euro fu malfatto ma la moneta unica ha dato molto all’Italia

Negli attuali gravi frangenti europei per chi è intellettualmente onesto esiste una sola certezza: nessuno può sapere ciò che accadrà domani. Per un motivo molto semplice: quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi non ha riscontri precedenti a cui riferirsi. In queste ore, dopo il vertice di Camp David, si cercherà di mantenere la Grecia nell’Eurozona, ma non è detto che questo obiettivo sia possibile e raggiungibile, soprattutto dopo il ritorno alle urne, in Grecia, tra poche settimane. La domanda più inquietante riguarda la tenuta della moneta unica, perché non è escluso che un ripristino della dracma non abbia conseguenze sull’euro, aprendo spinte centrifughe che coinvolgano altre monete nazionali o impongano comunque una ristrutturazione dell’euro.
Certo, per opinioni pubbliche che, non comprendendo quanto sta capitando intorno a loro, sono ormai alla ricerca dei capri espiatori, la moneta unica si colloca ai primi posti nella classifica dei e viene identificata con l’egemonia teutonica sul vecchio continente. Indubbiamente, le esportazioni tedesche hanno tratto vantaggio da una moneta come l’euro più competitiva del marco: un vantaggio di cui ha fruito, però, tutta l’economia dell’Unione, perché quando tira la locomotiva, anche i vagoni vanno più veloci. E’ un’analisi questa che oggi viene sempre più contestata. Ma davvero per il BelPaese l’entrata nel club della moneta unica è stato un pessimo affare come lasciano intendere tanti, anche quando non si azzardano a sostenerlo apertamente?
Così, insieme all’euro sono coinvolti dall’azione iconoclastica in corso, tutti gli eventi che ne sono stati la premessa e il corollario: dal trattato di Maastricht, con i relativi parametri, al Fiscal compact, con le sue tappe verso il ridimensionamento del debito pubblico. L’imperativo categorico è quello della crescita, magari mediante la possibilità di avvalersi di qualche svalutazione competitiva che le regole del club dell’euro non consentono più da anni. Ma davvero con l’adesione all’euro sono iniziate le sciagure del nostro Paese? Certo, da tempo si riconosce che il livello di cambio con la lira fu troppo elevato e che tale decisione condizionò – anche in conseguenza di un inadeguato contrasto dei comportamenti speculativi – l’incremento dei prezzi, in ragione di un rapporto di 1 ad 1 anziché di 1 a 2.
Non è giusto, però, sottacere gli aspetti positivi. Sicuramente, la moneta unica ha fatto da scudo sia nella crisi del 2001, sia in quella più recente. Da sola, la lira non avrebbe retto l’attacco della speculazione internazionale. Ma questa considerazione è parte di una storia fatta con i ‘se’ e perciò sempre sottoponibile a prova contraria, in quanto chiunque è legittimato a sostenere tesi diverse. Più difficile è smentire i dati di fatto (riguardanti il recente passato) relativi ai vantaggi del c.d. dividendo dell’euro. In Italia, evitiamo di ricordarlo perché richiama una nostra grave responsabilità: quella di non aver saputo impiegare ai fini di una politica di sviluppo ingenti risorse provenienti – gratis – dalla nostra adesione all’euro.
Tra il 1997 e il 2000 la spesa per interessi sul debito (la stessa che oggi strangola l’economia reale) diminuì sul pil di ben 3 punti percentuali, passando dal 9,3 a 6,3% per un valore – a prezzi 2009 – di 45 miliardi l’anno. Considerando un periodo più lungo, da 1996 al 2004, la spesa è passata dall’11,5% al 4,7% (-6,8 punti) pari a circa 100 miliardi all’anno in prezzi correnti. Così se la situazione italiana fosse ancora quella del 1996, con maggior tasso di inflazione e maggiori tassi di interesse, il costo aggiuntivo di finanza pubblica sarebbe di 100 miliardi l’anno. In questi stessi anni, secondo una stima del Censis, gli italiani – grazie all’abbassamento del tutto gratuito dei tassi sui mutui – investirono circa 336 miliardi in proprietà immobiliari: una ricchezza che le famiglie si ritrovano ancora, anche se è diventato più difficile onorare le rate dei mutui.

Fonte: Occidentale del 21 maggio 2012

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