di Franco Debenedetti
Che posizione prenderà oggi CDP all’assemblea TIM di oggi la Cassa Depositi e Prestiti? Il suo acquisto di un 5% circa di TIM è stato un fatto unico nella storia di un Paese che pure, quanto a interventi dello Stato nell’economia, non se ne è fatta mancare nessuna. Però non era mai accaduto prima che intervenisse nel pieno di una gara per il controllo tra due soggetti privati. L’assemblea di domani potrebbe essere l’occasione per dare a questa iniziativa un senso che vada oltre a quello, dichiarato, di partecipare al processo di consolidamento del mercato della fibra ottica, e si passi invece a quello di esercitare la funzione di braccio dello Stato per favorire lo sviluppo di un’azienda centrale per lo sviluppo del Paese. Con la moral suasion, ed eventualmente in futuro anche con una propria persona nel consiglio di amministrazione della società.
Certo che resta l’obiettivo rete. Ma un conto è farlo per porsi a garanzia della rete come level playing field per tutti i concorrenti a vantaggio della collettività nazionale. Tutt’altro è quello di realizzare la fusione con OperFiber, a vantaggio dei suoi azionisti, Enel e CDP. Per non parlare di quello, sogno proibito del precedente presidente di CDP, di realizzare la società delle reti, con le stesse modalità di Terna e Snam rete gas.
Quanto al primo obbiettivo, c’è il precedente di Open Access in Inghilterra a dimostrare che esso può essere raggiunto senza toccare gli assetti proprietari; da noi, dove a garantirlo è l’autorità di regolazione, non solo non risultano lamentele da parte dei concorrenti, ma TIM ha depositato una proposta che già va oltre il modello inglese. Certo, è lecito sostenere che al meglio non c’è limite (ma neanche al peggio, si veda il caso Australia). Quanto al secondo, aldilà dell’operazione per così dire sanitaria, cioè rimediare alle precedenti improvvide decisioni di investimento, si tratta di vedere se CDP vorrà sostenere ancora la politica industriale della scelta aprioristica della tecnologia (FTTH anziché FTFC), oppure esercitare la propria influenza perché l’azienda proceda speditamente a coprire tutto il Paese con la connessione a banda ultralarga, lasciando al mercato e ai progressi tecnologici decidere i tempi della transizione alla fibra dell’ultimo miglio (che poi da noi sono 200 metri).
Non è in base ai progetti che CDP potrà decidere con chi schierarsi: infatti i due contendenti – circostanza credo unica – mentre si combattono per il controllo, invece su strategia e sullo stratega, cioè sul piano industriale e sul nome dell’amministratore delegato a realizzarlo, Amos Genish, cantano all’unisono. Nella presentazione di Elliott del 30 Aprile non c’è più traccia delle operazioni su INWIT e su Tim Brasile che nella presentazione del 9 Marzo erano mezzi per creare valore alternativi a quelli del piano TIM. E quanto alla rete, Genish ha sempre sostenuto doversi mantenere il controllo della rete in TIM, chiarendo che una volta terminato il processo di separazione legale della rete (12-18 mesi) si potrà parlare di vendere una quota di minoranza, e partecipare al processo consolidamento del mercato della fibra ottica, con Tim che continua a controllare Netco. Elliott il 9 marzo voleva deconsolidare NetCo e Sparkle per massimizzare il valore dei suoi asset, ridurre il debito e così pagare un dividendo nel 2019. Un mese dopo la quota di partecipazione che TIM dovrebbe mantenere viene indicata tra il 25% e il 75%, cioè quel che si vuole. Insomma un’altra capriola a fare il paio con quella annunciata poche settimane fa dal Ministro dello Sviluppo, per cui mentre prima si voleva la concorrenza tra reti, ora è meglio che la rete sia unica. Elliott denuncia la cattiva performance della gestione Vivendi: però gli anni di Giuseppe Recchi presidente e di Cattaneo amministratore delegato sono stati i migliori da 10 anni, come risultati di bilancio, di immagine, di investimenti.
Sono dunque altri criteri quelli con cui CDP dovrà scegliere con chi meglio può far valere il suo 5%. Da un lato c’è un fondo di investimento stimato proprio per il suo opportunismo: deve rispondere a investitori impazienti di monetizzare, quindi non è proprio l’esempio di quell’investitore paziente che CDP considera necessario per questo tipo di imprese, e che si vanta di essere. Dall’altro c’è un’azienda articolata, con investimenti rilevanti in settori importanti. Gli errori di Vivendi, inspiegabili se si pone mente alla lunga presenza di Bollorè negli snodi del nostro capitalismo, sono stati quelli di non capire il Paese, il sovrapporsi di temi divisivi, il rapporto telefonia televisione, il controllo straniero di “asset strategici”, una privatizzazione che molti non hanno ancora accettato; e l’importanza della relazioni. L’investimento CDP l’ha fatto, improbabile che torni indietro.
Tanto vale che le stia accanto.