Una spinta comune per la crescita.
Con il comunicato congiunto emesso sabato pomeriggio da Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini siamo entrati in una fase nuova della travagliata legislatura in corso. Si sono creati i presupposti per una sorta di unità nazionale a geometria variabile. Il governo Berlusconi in virtù dei voti che conta in Parlamento – e che anzi paradossalmente aumenteranno per effetto dell’ arrivo dei nuovi transfughi dal Fli – resta al suo posto ma attorno all’ esecutivo viene stesa una rete di protezione politico-istituzionale pazientemente tessuta dal Quirinale. La novità si giustifica con i mala tempora che il Paese sta attraversando, con l’ attacco scatenato sui mercati finanziari dalla speculazione e, soprattutto, con il rischio che le agenzie di rating considerino bassa la credibilità di un gabinetto dilaniato dal braccio di ferro tra il premier e il ministro dell’ Economia. Il pressante invito alla coesione politica che viene in queste ore dal Colle sembra essere stato recepito positivamente. La scelta di Silvio Berlusconi di non telefonare alla festa pdl di Mirabello (evitando così di rinfocolare le polemiche sul lodo Mondadori) va in questa direzione e persino un tradizionale scassaquindici come l’ onorevole Antonio Di Pietro ha annunciato un atteggiamento costruttivo. Per una volta anche la tradizione ci soccorre positivamente: in altre stagioni della recente storia nazionale la politica nei momenti dell’ emergenza ha saputo mettere da parte divisioni e personalismi e presentare alla comunità internazionale l’ immagine di un Paese unito e responsabile. Qualcosa del genere sta avvenendo di nuovo ed è questa la risposta più efficace che si possa contrapporre a quelle che ci stiamo abituando a chiamare «le locuste». È chiaro che un’ iniziativa di unità nazionale, seppure a geometria variabile, per non rimanere puro esercizio retorico deve fare i conti con i problemi aperti. Domani in Parlamento comincerà l’ esame della manovra e mai come questa volta avremo puntati addosso gli occhi di tutta Europa. Il provvedimento che arriva alle Camere presenta molti punti deboli, diverse incoerenze e, come il Corriere ha avuto modo di sostenere, sottostima la necessità di misure destinate a stimolare la crescita. A far ripartire il denominatore Pil, per dirla con le parole di Mario Monti. E allora il governo potrebbe usare il passaggio parlamentare rafforzando questa componente della manovra, magari con un provvedimento-bandiera esplicitamente indirizzato a dar fiato allo sviluppo e a invertire le aspettative negative. Un’ iniziativa coraggiosa in questa direzione sarebbe bilanciata dall’ impegno bipartisan preso da Bersani e Casini. Le opposizioni, infatti, si sono dichiarate disposte a farsi carico degli interessi di lungo periodo del sistema Italia e di conseguenza non dovrebbero tirarsi indietro rispetto a misure impopolari (ma utili per allontanarsi dal baratro). Del resto proprio le opposizioni avevano criticato il ministro Giulio Tremonti per aver spostato troppo in là, nel 2013 e 2014, le scelte più amare e quindi non dovrebbero avere problemi a guadagnare tempo. Se è possibile però vorremmo dare un modesto suggerimento ai parlamentari di entrambi gli schieramenti. Il clima di unità nazionale non deve investire la sola società politica, per essere veramente tale dovrebbe riguardare anche la società civile. Il recente voto in commissione che ha allontanato l’ ipotesi di sopprimere le Province ha dimostrato che i partiti usano due pesi e due misure, sottoscrivono i sacrifici quando riguardano il ceto medio, i risparmiatori, il lavoro dipendente e i pensionati ma si tirano indietro quando si tratta di abolire poltrone e prebende. Per recuperare il feeling con un’ opinione pubblica fortemente delusa dai suoi rappresentanti sarebbe positivo che, in sede di esame parlamentare della manovra, si anticipassero i provvedimenti di taglio dei costi della politica che il governo ha promesso e poi ha colpevolmente procrastinato. In attesa che l’ alta commissione presieduta dal presidente dell’ Istat si insedi e faccia le più corrette comparazioni europee, perché non agire spontaneamente e dare un segnale di un’ austerity non più a senso unico? In termini quantitativi non avrebbe effetti taumaturgici sul debito ma ai professionisti della politica non dovrebbe sfuggire l’ alto valore simbolico di una simile scelta. A quel punto sarebbe unità di una comunità nazionale e non solo del ceto politico.
Idee per crescere e ritrovare unità
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