• martedì , 3 Dicembre 2024

I voti non sono tutto

Una elaborazione che simula i risultati dei tre sistemi proposti da Renzi attribuendo a partiti e coalizioni i voti effettivamente ottenuti nelle elezioni 2013 mostra che si otterrebbero esiti clamorosamente diversi. E’ la prova che i meccanismi delle leggi elettorali sono determinanti e chiarisce come mai sia così difficile un accordo sulla riforma
I voti sono voti, e chi ne prende di più vince le elezioni. O no? Beh, sì e no. Il tipo di sistema elettorale, le sue regole e i suoi meccanismi, giocano un ruolo la cui importanza è insospettabile da chi non sia davvero esperto della materia. Un ruolo decisivo nell’attribuire ai vari partiti e schieramenti un certo numero di parlamentari piuttosto che un altro, con differenze che possono arrivare da più del doppio addirittura al quadruplo.
Lo fa vedere bene un interessante esercizio elaborato dal sito YouTrend, che fa capo all’istituto di sondaggi Quorum. Si prendono i risultati delle ultime elezioni, quelle del marzo 2013, e si vede che cosa sarebbe successo, con quegli stessi voti, se fosse stato in vigore ciascuno dei tre sistemi proposti da Matteo Renzi: quello ispirato al sistema spagnolo, il “Mattarellum” modificato o il “Sindaco d’Italia”. Ebbene, i risultati sono macroscopicamente diversi e basta un’occhiata per capire come mai sia così difficile trovare un accordo sulla riforma del sistema elettorale.
Il sistema “alla spagnola” (quello ipotizzato da Renzi non coincide completamente con l’originale) è basato su molte piccole circoscrizioni che eleggono ognuna pochi deputati e sbarramenti del 5% a livello nazionale e del 3% nelle circoscrizioni. Renzi aggiunge un premio di maggioranza del 15%. La simulazione di YouTrend ha diviso l’Italia in circoscrizioni da 4 o 5 seggi (tranne la Val d’Aosta, 1 seggio) che spesso coincidono con le Province. Il risultato è clamoroso: grazie alla migliore distribuzione dei voti e al premio di maggioranza il M5S ottiene di gran lunga il maggior numero di eletti, anche se resta sotto la maggioranza assoluta di 316: ben 290 seggi contro i 179 del Pd e i 150 del Pdl, mentre a tutti gli altri restano poche briciole, 11 seggi in tutto: 6 vanno a Scelta civica, mentre la Lega con il suo 4% è sotto la soglia di sbarramento e rimane fuori.
Tutt’altra musica con il “Mattarellum” modificato (475 collegi uninominali a turno unico, premio di maggioranza di 92 seggi e 10% dei seggi ai partiti minori come “diritto di tribuna”). Considerando le coalizioni ognuna come un’unica lista (data l’aggregazione attorno a un candidato comune), sia centrosinistra che centrodestra superano il M5S che invece è un partito isolato e che paga pesantemente questo fatto: crolla a soli 74 seggi, mentre il centrosinistra ne prende 280 (con il premio di maggioranza) e il centrodestra 212.
Anche con questo sistema, comunque, nessuno ottiene la maggioranza assoluta, che esce fuori solo applicando la terza ipotesi, quella del “Sindaco d’Italia”. Se infatti non c’è uno schieramento che raggiunga quella soglia si vota in un secondo turno per il ballottaggio fra le due liste o coalizioni più votate e al vincitore va il 60% dei seggi. In questo caso il Pd avrebbe ottenuto 378 seggi, il M5S 114, il Pdl 97.
E’ bene ripetere che in tutte e tre queste ipotesi i voti ottenuti dai vari protagonisti sono gli stessi, e sono quelli effettivamente espressi nelle elezioni dell’anno scorso. Ma, come si vede, il disegno delle circoscrizioni, i meccanismi dello sbarramento, l’eventuale premio di maggioranza e le sue regole e tutte le altre diavolerie tecniche che la fantasia istituzionale è in grado di inventare possono cambiare sostanzialmente il risultato politico che si ottiene. Dopo aver visto questo esercizio, non ci si può più stupire se un accordo per la nuova legge elettorale è tanto difficile da raggiungere.

Fonte: Repubblica del 14 gennaio 2014

Articoli dell'autore

Commenti disabilitati.