• sabato , 23 Novembre 2024

I punti discutibili di una prova superata

Alla fine la mediazione dei partiti ha avuto successo e il governo Monti può affrontare l’iter parlamentare della riforma del lavoro con le spalle ragionevolmente coperte. Per una volta la bistrattatissima politica italiana è riuscita in un’operazione di problem solving e l’hanno condotta in porto, assieme a Pier Ferdinando Casini, due leader come Angelino Alfano e Pier Luigi Bersani che finora, durante tutta la legislatura segnata dal governo Berlusconi, se le erano date di santa ragione. Giorno dopo giorno.
Sarebbe esagerato trarne la conseguenza di aver assistito a una prova tecnica di grande coalizione ma l’episodio merita segnalazione e interesse. Dopo gli anni della rissa continua abbiamo bisogno di convergenze, seppur limitate a singoli dossier.
In seconda battuta non è peregrino riflettere sul ruolo che (non) hanno avuto le forze sociali, perché in fondo i partiti hanno fatto centro laddove industriali e sindacati non erano riusciti a proporre al governo e al Paese una sintesi convincente. È evidente a tutti che il presidente del Consiglio ha concesso ai tre segretari una mediazione (il reintegro per i licenziamenti economici) che non avrebbe elargito alle parti sociali, non per malvagità ma in virtù di una visione liberale e universalistica del consenso. Per Monti le forze sociali sono un ingrediente fondamentale della vita nazionale, le considera però portatrici di interessi particolari. Per smentirlo e metterlo in difficoltà i corpi intermedi avrebbero dovuto, loro, presentarsi al tavolo con una proposta condivisa di riforma del lavoro. Avrebbero mostrato un coefficiente di responsabilità e di maturità di fronte al quale qualsiasi premier si sarebbe dovuto inchinare. Ma non è andata così. Come dimostra «Il manifesto delle imprese», le parti sociali riescono a trovare facilmente l’unità quando si tratta di sommare i loro punti di vista ma se devono portare a sintesi materie che li vedono in conflitto tra loro preferiscono svicolare, lasciare la patata bollente in altre mani. È stato così finora per il credit crunch e il bis lo abbiamo visto con la riforma del lavoro.
La mediazione che governo e partiti hanno trovato non ha generato in automatico la migliore delle riforme possibili. Dobbiamo saperlo. Ci sono diversi punti del testo Fornero che necessitano di una ricognizione più approfondita, affiorano qua e là delle contraddizioni e la modifica dell’articolo 18 rischia di aggravare l’impegno di una magistratura del lavoro le cui performance in termini di tempi di produzione del giudizio sono già molto differenti da tribunale a tribunale. Di sicuro, però, dopo il completamento della riforma previdenziale il sistema Italia dà, a breve distanza di tempo, una nuova prova di raziocinio e di maturità. Con lo spread che è ritornato a danzare pericolosamente attorno a quota 350 e con un orientamento del Financial Times nei confronti dell’Italia che sembra essere tornato indietro di mesi, dire che il governo Monti aveva bisogno di battere di nuovo un colpo è quasi lapalissiano.
Il varo del disegno di legge sul lavoro presenta poi un altro indubbio vantaggio: permette al governo di concentrarsi su capitoli strategici della sua azione come la spending review e la riforma fiscale che sono altrettanto decisivi – se non più dell’articolo 18 – per cercare di riavviare i meccanismi della crescita. L’ultima cosa di cui avrebbe avuto bisogno in questo momento il Paese sarebbe stata una fiammata di conflittualità.
C’è necessità, invece, di porre testa e mano ad alcune urgenze che si stanno producendo nel Paese. La Indesit 48 ore fa ha annunciato di voler chiudere lo stabilimento di None in Piemonte e di delocalizzare in Polonia. Notizie di licenziamenti arrivano qua e là da diversi settori, persino dagli Autogrill. In più, senza voler esser cupi, l’impressionante serie di suicidi che vede come vittime piccoli imprenditori (e non solo) ci rilancia una fotografia del Paese reale che saremmo degli scriteriati a non guardare con preoccupazione. Se i ministri poi riuscissero a inserire nelle loro agende, assieme alla partecipazione a questo o quel convegno, anche una presenza nei luoghi del disagio, darebbero sicuramente il segno di una comunità nazionale che tutta insieme cerca l’uscita dal tunnel.

Fonte: Corriere della Sera del 5 aprile 2012

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