• lunedì , 23 Dicembre 2024

I pm sotto sferza senza nome né voce

Il disegno di legge sulle intercettazioni è giustamente contestato soprattutto per il bavaglio che impone alla libertà d’ informazione. Per alcuni aspetti che riguardano l’ altro corno di questo obbrobrio – i limiti ai poteri d’ indagine della magistraturae delle forze dell’ ordine che per le loro specifiche tecniche sono a volte meno chiare all’ opinione pubblica – è bene illuminare alcuni temi restati nell’ ombra. Vi è in primo luogo un approccio al ruolo del pm fortemente punitivo, col ricorso anche a gravi sanzioni penali e disciplinari, atte ad incidere immediatamente sui processi in corso, incrementando l’ utilizzo strumentale della denuncia del magistrato scomodo, già oggi molto diffuso (il registro delle denunce disciplinari supera di moltoi mille, per meno di 8.500 magistrati). È introdotto, inoltre, il delitto di rivelazione colposa del segreto di indagine, mentre l’ ipotesi dolosa verrebbe punita con la reclusione finoa sei anni. In realtài casi in cui l’ intercettazione è davvero pubblicata in violazione del segreto sono pochissimi, mentre nella maggior parte dei casi la pubblicazione avviene a causa dell’ attuale meccanismo di diffusione delle intercettazioni, dal momento che non sono più segrete, in quanto depositate a termini di legge alle parti civili, a loro tutela. Eppure con la nuova legge è sufficiente l’ iscrizione del magistrato nel registro delle notizie di reato (automatica a seguito di ogni denuncia, anche del privato) per determinare la sua possibile sostituzione. È facile immaginare il contenzioso che si scatenerà se questa norma entrasse in vigore. Un altro aspetto fin qui non messo in rilievo è costituito dal divieto per il pm di rilasciare dichiarazioni sul procedimento. Anche l’ Anm, traumatizzata dal luogo comune che vuole il magistrato tempio vivente del riserbo, ha taciuto. Ora, se è pur vero che il giudice debba in genere tacere, per contro il pm ha il dovere di informare l’ opinione pubblica, anche a fini processuali. Il pm è, infatti, una parte pubblica, gravata da obblighi di imparzialità, da cui consegue che nel rapporto con la stampa egli debba seguire alcune linee guida, ormai da tempo individuate dalla giustizia disciplinare: rapporti palesi e non preferenziali coi giornalisti; correttezza dell’ informazione, rispetto dei principi del giusto processo, come quello che vuole l’ imputato non colpevole sino alla condanna.A questi principi siè aggiunta nel 2006 l’ espressa previsione chei rapporti con la stampa siano attribuiti al solo procuratore, che può delegarli ai sostituti. Ma con l’ introduzione del divieto, se non il pm, in forma ufficiale e corretta, chi informerà il pubblico? Solo il difensore e la polizia giudiziaria, con ovvie ricadute sulla correttezza e completezza dell’ informazione? È per contro evidente che non solo il pm possa, ma in alcuni casi debba informare. Se, invece, la legge restasse quella che è, la proibizione diventerebbe addirittura causa di avocazione del procedimento oltre che di sanzione disciplinare. Si tratta di una norma non meno dannosa per la libertà di essere informati degli altri bavagli sulla stampa. Analogo grave divieto è quello di pubblicare il nome dei magistrati. Questa misura, nel testo approvato dal Senato, è assoluta; e solo per la pubblicazione dell’ immagine vi sono delle eccezioni, quando «ai fini dell’ esercizio del diritto di cronaca, la rappresentazione dell’ avvenimento non possa essere separata dall’ immagine del magistrato». È il caso della ripresa del processo con mezzi audiovisivi. D’ altro canto conoscere il nome di chi concretamente amministra la giustiziaè fondamentale, perché il processo non venga avvolto nel segreto e l’ opinione pubblica possa esercitare quel diritto di controllo, che è l’ unica forma di responsabilità pubblica della giustizia. Insomma la giurisdizione dovrebbe essere esercitata da magistrati sotto la sferza di continue punizioni, per di più senza voce, senza volto e senza nome. È una legge escogitata per aiutare la delinquenza e azzoppare la Giustizia.

Fonte: Repubblica del 19 luglio 2010

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