• venerdì , 22 Novembre 2024

I Piccoli di Arzignano salvati dalle griffe

Una dura battaglia con i colossi cinesi ma il distretto vicentino torna capitale dell’ industria della pelle di qualità.
«Le pelli non sono lamiere». Se ad Arzignano dovessero scegliersi un motto sarebbe probabilmente questa l’ espressione vincente. La ripetono un po’ tutti, è il refrain dell’ orgoglio industriale del distretto della concia. Un’ attività che non si rassegna al declino e addirittura si ripropone sul palcoscenico dell’ economia globale. Le pelli non sono lamiere, quindi vanno lavorate ad arte e per farlo non bastano le macchine o le soluzioni chimiche più avanzate. Ci vogliono gli uomini, tanti e bravi. E se ce li hai, persino la globalizzazione fa meno paura. Arzignano è un paese di 25 mila abitanti a trenta chilometri da Vicenza e si considera la capitale mondiale dell’ industria conciaria di qualità. Un distretto fatto di 797 imprese che non si è arreso alla Grande Crisi e anzi sta trovando il modo di ri-specializzarsi. Qui i cinesi sono temuti, ma si pensa di poterli battere ancora per diversi lustri. Eppure solo un anno fa gli arzignanesi venivano dati per morti, la recessione mordeva e le fabbriche dei Piccoli della concia chiudevano. Meno 30% di fatturato e meno 12% di occupazione. In più l’ onore della città era squassato dalla scoperta di una mega-frode dell’ Iva per centinaia di milioni di euro messa in opera da una cricca locale chiamata Dirty Leather, capeggiata da Andrea Ghiotto proprietario della locale squadra di calcetto candidata allo scudetto tricolore. La cricca usava come quartier generale un ristorante del centro, aveva come clienti piccoli e medi conciatori e aveva corrotto commercialisti, fiscalisti e dipendenti dell’ Agenzia delle Entrate. In attesa del processo i dati parlano chiaro: la concia di Arzignano è una delle punte dell’ export italiano in Cina visto che ad agosto le vendite facevano segnare più 42%. La concorrenza di Pechino Quello vicentino è un made in Italy particolare, non vende lusso ai ricchi dei Paesi emergenti, non costruisce le macchine utensili che tutto il mondo ci invidia, ma lavora un bene intermedio, la pelle, senza disporre della materia prima. Eppure Marco Balsemin, vice-presidente della piccola industria, oggi può dire: «Il nostro distretto non morirà». E Chiara Mastrotto, erede di una delle grandi dinastie del distretto, può aggiungere: «Gli unici concorrenti di Arzignano siamo noi stessi». Come racconta Valter Peretti, presidente della sezione concia della Confindustria vicentina, le pelli (bovine) arrivano dai grandi allevamenti del Nord Europa e del Brasile passano dalla valle del Chiampo, qui vengono lavorate accuratamente e poi raggiungono gli utilizzatori finali. I big dell’ auto che ne hanno bisogno per sedili e volanti, i mobilieri per i divani e l’ industria del lusso per le scarpe. L’ obbligo degli imprenditori di Arzignano è servire il cliente e sfruttare il suo traino per internazionalizzarsi. Se lui va a Shanghai a vendere scarpe di qualità ai ricchi cinesi loro lo seguono, gli danno le pelli migliori nei modi, nei tempi e nei colori giusti. E se il cliente è rognoso, «impariamo di più». I cinesi anche in questo settore non stanno con le mani in mano, come gli italiani comprano dall’ estero le pelli di bovino e hanno messo su la prima industria del mondo per quantità prodotte. Ma pur essendo una super-potenza della concia Pechino resta ancorata a confezioni standardizzate e senza contenuto moda. Non riesce a competere con i veneti e per questo i produttori asiatici avevano tentato di mandare loro tecnici a frequentare l’ istituto Galilei di Arzignano per apprendere/carpire i segreti del mestiere, ma il sindaco Giorgio Gentilin ha fatto finta di non capire e non se ne è fatto niente. I sindacati La storia industriale di Arzignano affonda le radici nel Medioevo. Le prime corporazioni di conciatori nella valle del Chiampo risalgono al 1300 ma è nel dopoguerra del ‘ 900 che nasce la vera industria della concia e dagli anni ‘ 60 hanno cominciato a farsi anche i macchinari in casa. In Italia non sono i soli, anche Santa Croce sull’ Arno e Solofra sono distretti di peso, ma i vicentini pensano di avere il primato. E guai a metterlo in dubbio. Nelle fabbriche di Arzignano i sindacati non sono tanto presenti e nel più grande gruppo, la Mastrotto, che per dimensioni e leadership è una sorta di Fiat di Arzignano, Cgil-Cisl-Uil non c’ è mai stata e la direzione governa con il metodo della porta aperta. Se hai bisogno di una settimana di ferie per andare al Paese o hai bisogno di un anticipo sullo stipendio bussa e ti sarà aperto. In cambio quando c’ è da concordare un turno di notte in più o spostare personale da un reparto all’ altro non c’ è bisogno di discutere con le Rsu. Il ciclo di lavorazione è lunghissimo, ci vogliono quattro settimane, si parte dalle pelli ancora sporche di sangue e si arriva a prodotti perfettamente levigati e colorati. Gli immigrati sono di 22 nazionalità e nelle concerie più grandi superano il 25% degli addetti ma la fabbrica è una comunità così coesa che il razzismo non attacca. Il lavoro con il suo statuto di diritti e di doveri rende tutti uguali, la concia fa il resto. Se si devono fare i conti con il cromo trivalente, i solfati e i cloruri, il passaporto dell’ operaio diventa un dettaglio, l’ importante è sopportare l’ odore dei solventi. Una volta le concerie erano in città, i Piccoli facevano business negli scantinati e si consumava acqua a livelli esorbitanti, poi si è capito che non era possibile vivere così senza distinguere il paese dalle fabbriche e negli anni ‘ 80 è nata la zona industriale. I più grandi hanno anche innovato il modo di proporsi e oltre a produrre totalmente su commessa sono riusciti a replicare l’ organizzazione logistica degli spagnoli Zara-Inditex. Forniscono al cliente anche piccoli lotti di pelli in sole 48 ore, una piccola rivoluzione. La moda L’ innovazione è tecnica ma soprattutto stilistica, perché il contenuto moda è il vero segreto della rispecializzazione di Arzignano. «Per questo il distretto magari perderà qualche produttore ma resterà pienamente in campo. Prima che i cinesi ci raggiungano noi avremo spostati in avanti il vantaggio competitivo che abbiamo oggi» sostiene Peretti. Proprio per conservare la pole position Balsemin sostiene che sarebbe importante avere la piena tracciabilità del prodotto, potersi far riconoscere (e pagare) dai clienti «l’ unicità di Arzignano». Ma a dimostrazione che si guarda più in là i discorsi che si sentono fare sono anche quelli di accordi con le compagnie aeree per migliorare la logistica e persino una campagna pubblicitaria di grande effetto ideata da Oliviero Toscani. Una foto di Monica Bellucci nuda con la figlia in braccio, in basso una scritta e il logo di Arzignano: «Questa è pelle italiana». Nel distretto fino al 2007 la cultura egemone era strettamente individualista, ognuno si faceva gli affari suoi e ci si incontrava solo alle fiere perché tanto ce n’ era per tutti. Adesso cominciano a venir fuori discorsi di reti di impresa specie per i Piccoli. «Anche perché da soli è difficile reggere questa continua corsa all’ innovazione e per reggere devi trovare la nicchia di mercato giusta» sottolinea Peretti. La differenza intanto è nella redditività, gli artigiani piccoli si devono accontentare di una media di 2 punti, gli imprenditori più grandi e virtuosi arrivano anche al 5-6%, ma venti anni fa nell’ epoca dell’ oro il margine di guadagno era addirittura a due cifre. Se la cultura della decadenza ad Arzignano non trova proseliti le preoccupazioni maggiori possono venire dalla sostenibilità ambientale. L’ ambiente Il sindaco Giorgio Gentilin di professione fa il medico, è al suo posto da un anno e mezzo e capeggia una giunta Pdl-Lega. Basta parlargli due minuti e si capisce come sia conscio che in un distretto come il suo la dialettica tra interesse pubblico e business privato è decisiva. La concia rischia di inquinare la terra, l’ acqua e l’ aria e per questo tutti seguono con trepidazione il monitoraggio condotto dall’ agenzia Giada guidata dagli enti locali. Gli ultimi risultati di qualche settimana fa sulla qualità dell’ acqua, dell’ aria e sui rifiuti segnalano miglioramenti costanti. In particolare nei centri urbani la riduzione dei Cov, i tremendi composti organici volatili, è incoraggiante e le emissioni di solventi (calcolate in grammi su metro quadro) continuano a subire una drastica diminuzione. Erano a quota 146 nel ‘ 96, oggi sono scese a 46, l’ 87% delle aziende ha un fattore di emissione minore della soglia e i valori annui di cromo si sono dimezzati. Ma in prospettiva la vera emergenza riguarda il trattamento dei residui, i fanghi di conceria. Nessuno al mondo ha ancora la ricetta giusta per trattarli e, se Arzignano ce l’ avesse, per paradosso la potrebbe vendere persino ai cinesi. Nella valle del Chiampo esistono tredici discariche di cui però dieci sono già esaurite e tre sono attualmente in funzione, ma si deve arrivare a creare impianti più sicuri che consentano di non aprirne più di nuove e bonificare per quanto possibile le vecchie. C’ è tempo sei anni e non si può assolutamente fallire, altrimenti l’ orgoglio di Arzignano rischia il ribaltone.

Fonte: Corriere della Sera del 28 dicembre 2010

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