• sabato , 23 Novembre 2024

I Piccoli cambiano marcia in Cina. Ma ora serve l’aiuto delle banche

Un manager di Pechino per l’ export italiano.I dubbi sul futuro dell’ Ice.
Il professor Marco Vitale è di ritorno da una settimana trascorsa a Pechino. È venuto a sapere che il budget dell’ Istituto di cultura italiana nella capitale cinese è di miseri 20 mila euro e così appena rientrato in Italia ha scritto a Paolo Zegna, vice-presidente della Confindustria (con delega all’ internazionalizzazione), proponendogli di trovare insieme 30 aziende italiane disposte a investire ciascuna 10 mila euro per rimpinguare il budget dell’ Istituto di cultura. A raccontare l’ episodio è lo stesso professore a Cinisello Balsamo, all’ assemblea annuale dell’ Ucimu, l’ associazione dei costruttori di macchine utensili, «la parte più nobile dell’ industria manifatturiera italiana» (definizione dello stesso Vitale). L’ economista che adesso presiede il Fondo per le Pmi, sostiene che «i tedeschi in Cina ci sono da 15 anni mentre noi, mai presenti come Stato, ora fortunatamente lo siamo come industria». E Vitale sa di parlare nel posto giusto perché se c’ è un’ associazione che sulla presenza in Asia sta scommettendo risorse proprie è l’ Ucimu. Ha ingaggiato, infatti, per due anni un manager cinese, Zhang Min Hu, che lavorerà a Pechino e avrà il compito di assistere i Piccoli italiani che vogliono impiantarsi stabilmente in Cina. Zhang è al lavoro da appena un mese e sono già 30 le aziende che si sono rivolte a lui. Ma la campagna acquisti dell’ Ucimu non è finita. Ingaggiato il loro primo straniero il presidente Giancarlo Losma sta lavorando al bis in India, assumendo anche a New Delhi un manager che aiuti full time l’ export italiano. In un’ Italia che fatica a trovare il sentiero della crescita viene da dire «meno male che c’ è l’ export». Nonostante il vice-ministro per il Commercio estero Adolfo Urso (finiano dimessosi il 15 novembre 2010) non sia mai stato sostituito e nonostante che l’ Ice sia da mesi sub judice, le imprese italiane continuano a battersi alla grande. Secondo il monitor Intesa Sanpaolo nei primi tre mesi del 2011 i 140 distretti tradizionali italiani hanno fatto registrare un aumento tendenziale delle esportazioni del 16,3%. Si sono rivelati trainanti i distretti del sistema moda, della filiera dei metalli e della meccanica. Se isoliamo la Cina come mercato le vendite dei distretti sono salite del 50% nei primi tre mesi 2011, passando da 330 milioni di euro a 500. Anche i dati sciorinati ieri da Losma vanno nella stessa direzione tanto che l’ ufficio studi ha già formulato una previsione di export per l’ anno in corso decisamente confortante: +22,3%. E se alla fine del 2010 il mercato cinese aveva superato la Germania diventando il primo per le nostre esportazioni di macchine utensili e robot, nel primo trimestre del 2011 abbiamo assistito a un rimbalzo del mercato tedesco che lo ha riportato in alto. Anche perché, come non si stanca di ripetere il massimo esperto di automazione, Gian Maria Gros-Pietro, la Germania non acquista le nostre macchine utensili solo per il proprio consumo ma le usa anche come componenti dei sistemi che poi, a sua volta, esporta. Attenzione però a non restar preda dell’ euforia, a non stappare dell’ inutile champagne. Alla vivacità delle imprese fa da riscontro un ritardo delle nostre strutture, dalla promozione alle banche. Il destino dell’ Ice, l’ istituto del commercio estero, fino a ieri pomeriggio era avvolto dalla nebbia. Nessuno aveva il coraggio di parlarne apertamente, poi sono uscite le prime anticipazioni sulla manovra che sarà portata in Consiglio dei ministri giovedì 30 ed è rispuntata la vecchia intenzione del ministro Giulio Tremonti di sopprimerlo. Ai primi di maggio a Bergamo, alle Assise di Confindustria, la presidente Emma Marcegaglia di fronte all’ impasse dell’ istituto aveva lanciato l’ idea che gli industriali se ne facessero carico direttamente ma il governo non ha nemmeno risposto all’ offerta. Anche il gruppo dirigente dell’ Ucimu non pare particolarmente convinto della privatizzazione alla Marcegaglia, biasima il dimezzamento dei fondi dell’ Ice ma non crede né a un ruolo delle Camere di Commercio fuori dal territorio nazionale né auspica una fusione dell’ istituto nelle ambasciate. Piuttosto disegna un modello a geometria variabile, con l’ Ice che serve il sistema delle Pmi e le ambasciate che aiutano i soli grandi gruppi. E il vice-presidente della Camera, Maurizio Lupi, che di promozione e fiere se ne intende, nel suo saluto all’ assemblea è stato prudente. Ha anticipato alla platea la notizia che «nella manovra ci sarà una riflessione sul ruolo dell’ istituto» ma di più non è stato possibile scucirgli. Nonostante un ex presidente sia dell’ Ucimu sia dell’ Ice, Flavio Radice, fosse intervenuto appena prima per chiedere «il trasferimento dell’ Ice a Milano». Comunque finisca la partita del commercio estero, se vogliamo continuare a recuperare quote di mercato nei Paesi tradizionali e aumentarle nei Bric, bisognerà confidare nelle banche. Mentre si aspetta che il Centro per l’ internazionalizzazione creato da Intesa Sanpaolo a Padova vada a regime, Unicredit ha realizzato uno spot per la tv e le sale cinematografiche che mostra dei malcapitati Piccoli che si avventurano da soli sulle scale mobili (metafora del tentato ingresso su nuovi mercati) e non ce la fanno ad arrivare in cima. Lo spot si inserisce in un’ azione della banca che sta cercando di recuperare il rapporto con i territori, le reti di impresa e le filiere produttive, ma come ha scandito ieri Losma «la vendita all’ estero è complicata e prevede un processo di acquisto articolato che investe molteplici aspetti, non ultimo quello del finanziamento». E se è difficile convincere le banche straniere a finanziare nei loro Paesi gli acquisti di tecnologia estera, la palla passa alle italiane e alla loro reale capacità di seguire l’ imprenditore italiano e di aiutarlo. L’ esempio da copiare è (ancora una volta) quello tedesco con le banche che assistono dalla A alla Z le imprese nelle incursioni nei mercati stranieri. Le nostre, invece, laddove sono presenti non ce la fanno ad accudire le Pmi e in Paesi promettenti come il Brasile non toccano nemmeno palla. Ma questo è un altro film e comunque più di uno spot.

Fonte: Corriere della Sera del 28 giugno 2011

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