• venerdì , 22 Novembre 2024

I giovani imparino a farsi strada…ma non per strada

Non sorprende che il Presidente Napolitano abbia dedicato il suo messaggio di fine anno quasi interamente ai giovani. Pochi giorni prima era stato sollecitato a ricevere una delegazione di studenti che invece di studiare tumultuavano in strada contro la riforma Gelmini e reclamavano il diritto di essere ascoltati. Per farli smettere era opportuno riceverli. E poi era anche opportuno dimostrare di averli ascoltati. E’ finito il tempo degli schiaffoni ai figli reprobi e recalcitranti. Forse non è il modo migliore per educarli; ma i tempi in cui viviamo non sono fatti per andare controcorrente. Se desideriamo essere compresi sul perché delle nostre azioni dobbiamo conformarci a ciò che la gente si aspetta da noi. Tanto più che il Presidente della Repubblica è nato comunista ed ha operato a lungo come comunista. E’ un modo di pensare radicato in profondo dove l’egualitarismo è il principio basilare, il Verbo della giustizia sociale, e da esso nessun ex-comunista riesce a prescindere! Ciò che invece avrebbe dovuto sorprendere è che Napolitano non abbia fatto il suo sermone ai giovani, ma a noi. Non solo, ma non ci ha detto che dovremmo educarli meglio, soprattutto sui loro doveri e poi anche su come i giovani dovrebbero cercare di essere più in gamba. Nessun incitamento ai giovani. Ce n’era solo per noi, sulla falsariga del passato. Dai giovani Napolitano non ha preteso nulla. Ha solo chiesto a noi di dare posti di lavoro, come faceva l’Unione Sovietica nei tempi andati.
Nessuna indicazione ai giovani di come crearsi loro un’attività creativa utile a loro ed alla società e, quindi, costruirsi loro un’occupazione in un clima di libera iniziativa. No! Secondo Napolitano tocca a noi dare un occupazione ai giovani, tocca allo Stato, tocca alle imprese. Sono tesi vecchie come il nostro Presidente. Certo, non possiamo pretendere che lui ringiovanisca e, forse neppure che si adegui a un mondo che cambia e diventa sempre più piccolo. Ma possiamo chiedergli almeno che nel predisporre il testo molto equilibrato che leggeva sul cosiddetto “gobbo” si circondi di consiglieri giovani e dinamici che abbiano vissuto negli Stati Uniti ed in paesi emergenti tipo India (non sudamericani tipo Brasile, impregnati sino al midollo delle deformazioni ideologiche della penisola iberica). Il guaio del chilometrico discorso di fine anno, senza un sorriso e senza alcuna trasfusione di entusiasmo ed incitamento ai giovani è stato la ripetizione di luoghi comuni, di sostegno di mentalità superate e di suggerimento ai giovani di non far nulla salvo attendersi tutto dai grandi. Io chiedo ai miei lettori: ma è proprio questo che vogliamo dalla nostra gioventù? Non dovrebbe essere il giovane, con le sue fresche energie, a costruire il proprio avvenire? Noi, che abbiamo il dovere di educarli ed aprire loro gli occhi sull’avvenire, dovremmo incitarli ad andare avanti, anche a calci (figurativi) nel sedere. Altro che promettere loro un “posto il lavoro”, al solito non precario, dal quale dovrebbero essere inamovibili (in base al famoso art.18) e dove ricevere una paga sempre in aumento, anche senza merito in ossequio all’egualitarismo, cercando di faticare al minimo (o trovare un secondo lavoro in nero).
Forse è ingeneroso da parte mia criticare un vecchio se si esprime da vecchio. Ed allora – nella convinzione che la sclerosi è connaturata agli anni – vorrei osare qualche suggerimento. Accettiamo ciò che Napolitano ci ha detto, certamente in buona fede, conoscendone i perché e quindi i limiti della validità del suo dire. Non dobbiamo respingere le sue parole. Ma, moltiplichiamo le occasioni di incontrare noi i giovani e, nel rivolgerci ai giovani e nel trattare coi giovani, operiamo in modo da indurli ad esercitare le loro energie in direzioni costruttive e creative, come in questi miei scritti ho sin troppo spesso predicato. Ad ogni giovane da noi avvicinato possiamo, anche con poche parole – perché sono impazienti e, specie le ragazze, strombazzano il clakson – farci raccontare ciò che gli piacerebbe fare. Poi, in rapporto al loro aprirsi con noi se abbiamo ispirato fiducia, facciamo sorridendo e con occhi brillanti qualche iniezione di entusiasmo creativo. In molti casi sarà un nostro sforzo sprecato. Ma in tanti altri avremo fatto qualcosa di bene per loro, per il nostro Paese e – perchè no? – anche per noi, per nostra soddisfazione.

Fonte: Per gli Amici n.1 del 3 gennaio 2011

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