• giovedì , 21 Novembre 2024

I debiti? Meglio che li paghi qualcun altro

Debito sostenibile, problema per il debitore; debito insostenibile, problema per il creditore. A questo vecchio detto si è aggiunta di recente la variante che a farne le spese sia o il creditore, o qualcun altro, o meglio entrambi. È proprio questo a cui si assiste da mesi nell’Eurozona di fronte all’insolvenza di Grecia, Portogallo e Irlanda nel rimborsare il proprio debito pubblico, e alla crisi di fiducia dei mercati nei confronti della Spagna e da ultimo anche verso l’Italia, secondo paese europeo col maggior debito pubblico in rapporto al PIL (circa 120% nel 2011).
Quindi, un fiorire di proposte di emettere titoli di debito “europei”, che in ultima istanza trasferiscano l’onere di rimborsare almeno una parte del debito pubblico dei paesi troppo indebitati in capo all’insieme dell’Eurogruppo, che vuol dire trasferirlo sui maggiori paesi membri che sono solvibili, ossia la Germania e la Francia. La fallacia di queste proposte, anche se dettate dall’encomiabile scopo di salvare l’euro, non sta soltanto nella loro sperequazione di trattamento tra paesi virtuosi e non, ma nella mancanza delle necessarie fondamenta e nel rappresentare solo un temporaneo tappabuchi che non risolve il problema di fondo. Le ragioni sono molto evidenti, ma stranamente invisibili ai promotori di queste proposte.
Primo, né l’Eurozona, né l’Unione Europea, nonostante il nome, sono una confederazione o una federazione con un vero potere di bilancio nei confronti degli stati membri, pur avendone l’aspirazione. Le autorità nazionali, invece, conservano appieno la sovranità sulle decisioni di spesa e di tassazione dei propri cittadini, con gli unici vincoli del 3% PIL al loro disavanzo di bilancio e del 60% PIL al debito pubblico. Perché si possa giustificare un trasferimento a livello sovranazionale dell’onere di rimborso di un paese troppo indebitato è necessario che ad esso si accompagni un parallelo trasferimento di sovranità sulla politica di bilancio a un esecutivo europeo che possa decidere sulla spesa pubblica e sulla tassazione nel paese indebitato al fine di garantire sia il servizio del debito, sia il buon uso delle risorse prelevate. Se così non fosse, il contribuente del paese virtuoso si troverebbe nell’assurda posizione di dover sudare per pagare non solo il soddisfacimento dei bisogni collettivi del proprio stato, ma anche di quelli di un altro stato su cui non ha alcun potere di scelta di bilancio. Nessuno paese accetterebbe qualcosa di simile, senza una consistente contropartita, che non è certamente il salvataggio dell’euro. Va ricordato in proposito che nel 1975-76 la Germania pretese il pignoramento dell’oro dell’Italia per concederle un prestito che la salvasse dal dissesto di bilancio.
Ma finora nessun paese UE ha accettato un trasferimento di sovranità di bilancio, neanche la Grecia, che ad esempio se ne è servita pur dopo avere ricevuto la prima tranche di aiuto finanziario per seguire una politica non del tutto in linea col rigore richiesto dai suoi finanziatori, la UE e il FMI.
Eppure una solida garanzia di lungo periodo sulla politica di bilancio del paese debitore è il secondo elemento essenziale per dar senso alle proposte di emettere debito “europeo” per ritirare debito nazionale inesigibile, in quanto una mera manovra di questo tipo senza correggere i meccanismi sottostanti che hanno prodotto lo sproporzionato rigonfiamento del debito pubblico, non darebbe alcuna certezza che i problemi di bilancio e di debito non si ripresentino nel giro di pochi anni.
Naturalmente, vanno viste in una luce diversa quelle proposte (come quella di Delors del 1993) di emettere bonds europei a fronte di investimenti in opere pubbliche di rilevanza europea, perché il beneficio derivante da queste operazioni ricadrebbe sui diversi paesi partecipanti nello stesso tempo. In questo caso, basterebbe la BEI, che di fatto sfrutta la garanzia di ultima istanza dei suoi paesi membri.
Nemmeno il caso del debito pubblico dell’Italia sfugge alla logica accennata, se non agli occhi di coloro che si pascono di illusioni. Anche se ci fosse un’emissione di bonds “europei” per ritirare debito italiano, questa non sarebbe una soluzione né politicamente fattibile, né adeguata al problema, in quanto il Paese ha mostrato dalla crisi del 1992 in poi di non essere in grado di disegnare ed attuare alcun piano di rientro del debito verso un livello di sostenibilità, per esempio l’80% PIL, se proprio non è realistico il 60% PIL richiesto dall’euro. In realtà, dal 1992 il debito è rimasto anno dopo anno al di sopra del livello del PIL (110,5% in media 1996-2010; 109,7% 1996-2007, anno pre-crisi), PIL che costituisce l’unica fonte di risorse per ripagare il debito, a meno di voler intaccare la ricchezza di famiglie, imprese e settore pubblico per ridurre il debito.
Né tutto questo indebitamento è servito a far crescere di più l’economia, perché la crescita è scesa all’1,45% annuo in media 1996-2007, o allo 0,8 % in media 1996-2010, cioè poco più di una stagnazione. Ben venga, pertanto, la reazione dei mercati di questi giorni, perché finalmente dovrebbe indurre a dire chiaramente a tutti gli italiani: “I nostri padri hanno scialacquato il denaro pubblico dalla fine degli anni 70 al ’92. Ora tocca a noi rimboccarci le maniche per ripagarlo, producendo di più ed divenendo più competitivi, senza poter godere dei frutti di questo sforzo.” E non basta: la manovra di 79 miliardi appena approvata è solo il primo atto. Altri grandi sacrifici sono da mettere in programma per il dopo 2014 per riportare il debito in zona di sicurezza. Ma avranno i nostri politici il coraggio di dirlo oggi???

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