Finora si è parlato prevalentemente del capitale e dei capitalisti. Ma a margine del doppio caso incrociato Telecom e Alitalia varrà la pena riflettere anche su unaltra causa profonda degli insuccessi del sistema Italia, la debolezza di una tradizione di business centrata sul servizio.
E giusto quindi battersi il petto per loccasione mancata rappresentata dalle privatizzazioni allitaliana e per gli errori che non hanno resa possibile la nascita in Italia di vere public company, ma altrettanto interessante è cercare di approfondire i motivi che ci vedono drammaticamente indietro almeno rispetto ai nostri partner europei nellelaborazione di una moderna cultura del servizio.
Come sempre non mancano le eccezioni (e ne parleremo), la nostra tradizione industriale però sembrare restare incardinata nel tradizionale saper fare manifatturiero. In questa specializzazione, che a sua volta poi assume mille forme diverse, siamo capaci di fare scuola, di mettere in campo una pluralità di soggetti bravi nel competere e nellinnovare, riusciamo in qualche modo anche a trasmettere eredità positiva alle generazioni successive.
Nei servizi questo avviene molto più raramente, basta vedere quante risorse manageriali sono state in qualche modo bruciate nelle gestioni che via via si sono avvicendate nella telefonia e nellaerotrasporto italiano, ogni volta armate dalle più buone intenzioni e dalla voglia di operare in discontinuità con il passato.
Certo, tutti quei manager li si può trattare ex post come degli incompetenti o addirittura dei furbastri ma si tratterebbe di una semplificazione narrativa o giornalistica, come si usa dire. Fin quando i servizi sono rimasti in regime monopolistico il sistema Italia ha saputo proporre figure dirigenziali di assoluto valore e produrre esperienze pilota, dopo tutto è stato più difficile.
Non siamo riusciti a passare in tempo utile dalla cultura dellofferta a quella della domanda, a conciliare la tutela del patrimonio delle imprese con la conoscenza del mercato, del consumatore e della comunicazione. Gli anglosassoni partivano molto avvantaggiati per una pluralità di motivi ma abbiamo perso la gara anche con tradizioni meno collaudate, siamo rimasti dietro, infatti, anche ai francesi e gli spagnoli.
Abbiamo ritratto la cultura industriale transalpina come legata a una sola dimensione (lindustria pesante) e non abbiamo visto come via via evolvesse la loro competenza nel rétail della moda e del vino, solo per limitarci a due esempi per altro importanti.
Quanto ai cugini iberici non è certo un caso che abbiamo comprato aeroporti in Gran Bretagna e siano riusciti ad affermare sul mercato forse la più avanzata delle culture della distribuzione e della logistica, quella del gruppo Zara-Inditex.
E ovvio che in ragionamenti di questo tipo si è portati a generalizzare ed è giusto pertanto ricordare come un manager italiano (Vittorio Colao) sia alla guida di Vodafone, come Autogrill sia un player internazionale della ristorazione e come nel servizio dellalta velocità sul territorio nazionale si possa rintracciare sicuramente unattenzione al cliente che si può considerare di ottimo standard. Ma si tratta comunque delle famose eccezioni che purtroppo confermano la regola.
Non è un caso del resto se, pur essendo indiscussi maestri del design e dellindustria dellarredo, abbiamo dovuto subire lonta di veder crescere sul mercato un soggetto della qualità e delle dimensioni di Ikea. Siamo rimasti prigionieri dellidea che il prodotto è tutto e lintendenza ovvero il rapporto con il consumatore avrebbe fatto seguito meccanicamente.
Non è così e ne stiamo pagando il prezzo. Se ci pensate, noi tutti consideriamo come un genio limprenditore piemontese Oscar Farinetti che ha avuto il grandissimo pregio di aver aperto Eataly e scommesso sulla distribuzione di qualità dei prodotti agro-alimentari made in Italy.
Non ci fosse stato lui a inventare luovo di Colombo avremmo anche rischiato che a lanciare al mondo una catena di vendita dei nostri formaggi, dei nostri salumi e della nostra pasta arrivasse uno scandinavo o un olandese. Nemmeno nel turismo la cultura italiana del servizio merita la sufficienza. Anzi.
Non siamo stati capaci di replicare nel tempo exploit come quelli delle vacanze sulla Riviera Romagnola degli anni 60 capaci di offrire a una clientela internazionale, in prevalenza tedesca, un buon prodotto a prezzi contenuti e supportato da unattenzione certosina alle esigenze del cliente.
Dietro quindi i fallimenti delle gestioni di Telecom e Alitalia cè dunque una carenza di cultura del servizio e sottolinearlo non ha lobiettivo di rendere più digeribile il bilancio negativo di entrambe le vicende. Anzi cè il rischio concreto che il passaggio in mani straniere di società che sono a diretto contatto con il consumatore moderno abbia dei riflessi negativi per la stesso processo di ri-specializzazione che la manifattura italiana ha intrapreso pur tra mille contraddizioni.
Come spiega Innocenzo Cipolletta in un ispirato articolo pubblicato sulla rivista Economia italiana, è il consumo di servizi che determina nei paesi avanzati la vendita di beni industriali. La ristorazione attira quantità crescenti di prodotti alimentari e di attrezzature per distribuire i pasti.
Lintrattenimento chiede sistemi industriali moderni e tecnologicamente avanzati. La comunicazione traina la domanda di computer, telefoni mobili e tablet. I servizi di trasporto consumano aerei, navi e treni veloci. E di conseguenza, come sistema Italia, più siamo fragili o addirittura assenti a valle più rischiamo che la nostra straordinaria tradizione a monte si svaluti e fatichi a trovare i canali per imporsi sui mercati.
I casi Telecom e Alitalia e la debolezza nella cultura dei servizi
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