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Grillo e Casaleggio evocano il fallimento dell’Italia? O stanno fallendo loro?

Beppe Grillo e ora anche Gianroberto Casaleggio prefigurano il fallimento dell’Italia per quest’autunno, con corredo di ribellioni e moti di piazza. Si tratta probabilmente di uno wishful thinking, di una previsione che si confonde con un desiderio, un rischioso gioco al “tanto peggio tanto meglio”, per poter dare la spallata definitiva al vecchio sistema e inaugurare l’età dell’oro dei Cinquestelle. Uno stanco galleggiamento nella situazione attuale o magari una lenta uscita dalla crisi sarebbero infatti esiziali per Grillo e il suo Movimento, che ha già preso una scoppola nelle urne alle elezioni amministrative, dopo l’exploit delle politiche.
Previsione o desiderio, dunque? Onestamente, a meno di un improvviso e imprevedibile peggioramento del clima economico globale, non c’è aria di fallimento del nostro Paese. Anzi, tenendo conto che la politica economica delle maggiori economie non dovrebbe cambiare nei prossimi mesi, anzi dovrebbe essere rafforzata dopo la marcia indietro di Bernanke in Usa e la vittoria elettorale di Abe in Giappone, lo scenario internazionale dovrebbe confermare bassi tassi d’interesse e liquidità abbondante. La stessa cosa che Draghi ha promesso all’Europa, con riflessi benefici sui tassi d’interesse e sugli spread.
E’ vero che il nostro debito pubblico ha raggiunto il record del 130,3% sul Pil (secondo in Europa solo al 160% della Grecia), ma è anche vero che saremo tra i pochi Paesi Ue con un deficit sotto il 3%. E’ la conferma che – soprattutto grazie al Governo Monti – la finanza pubblica è sotto controllo e possiamo approfittare dell’uscita dalla procedura per deficit eccessivo, che nel 2014 ci consentirà una maggiore flessibilità del bilancio pubblico, con la possibilità di spendere da 4 a 6 miliardi in più rispetto alle previsioni per investimenti pubblici e occupazione.
Se si considera che il Ministero dell’Economia sta accelerando al massimo il pagamento dei debiti della Pa alle imprese (oltre 15 miliardi già disponibili e la possibilità di anticipare al 2013 anche una parte almeno dei 20 miliardi previsti per il primo semestre 2014) e che sono imminenti i piani per una nuova fase di tagli alla spesa pubblica e di privatizzazioni, si può affermare che lo Stato sta facendo il possibile per uscire dalla crisi.
Dal punto di vista dell’economia reale, cominciano a manifestarsi primi segni di ripresa, come l’aumento degli ordinativi alle imprese. Le esportazioni vanno bene (più di quelle francesi e tedesche) e nel 2013 dovrebbero raggiungere il record di 500 miliardi. Anche il turismo dall’estero non sembra aver ceduto posizioni e farà affluire nel nostro Paese durante l’estate preziosa valuta.
Ovviamente si dovrebbe e si potrebbe fare di più. Ed anzi, paradossalmente, le prospettive di ripresa potrebbero anche essere considerate un’occasione perduta per rimettere davvero in sesto l’Italia. Come ha detto il presidente della Corte dei Conti Giampaolino, per poter ridurre il debito e la pressione fiscale, dovremmo ridefinire il “perimetro” dello Stato e dei suoi servizi. Bisognerebbe ridurre drasticamente gli enti pubblici, non solo abolire le Province o modificare il Senato, ma anche dimezzare le Regioni, accorpare i Comuni, ridurre gli uffici statali sul territorio, definire meglio le competenze dello Stato e degli enti territoriali per evitare sovrapposizioni, duplicazioni e sprechi.
E bisognerebbe ridisegnare i servizi che lo Stato eroga ai cittadini: i cittadini abbienti dovrebbero pagare per esempio di più la Sanità e l’Istruzione, in cambio di una sensibile riduzione delle tasse. C’è dunque il rischio, come spesso è avvenuto nel nostro Paese, che una sia pur stentata ripresa faccia venire meno l’urgenza di queste radicali riforme, che sono invece indispensabili per rimettere il Paese sulla strada di crescita stabile e per garantire ai giovani i posti di lavoro di cui hanno bisogno.
In ogni caso, bisogna riconoscere che non sembrano proprio esserci le avvisaglie di un fallimento. Anche perché, con la strumentazione messa a punto negli anni scorsi dall’Europa, un fallimento assumerebbe l’aspetto della richiesta di intervento del Fondo salva Stati, come accaduto in Grecia e in Spagna per salvare le banche. Finora l’Italia è riuscita ad evitare l’aiuto esterno. E io penso che non sarà necessario neppure nel prossimo autunno. Con buona pace di Grillo e Casaleggio che, loro sì, potrebbero “fallire” politicamente.

Fonte: Formiche.net del 23 luglio 2013

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