• domenica , 24 Novembre 2024

Grecia, Germania e Leghe d’Europa

Quello che tutti si domandano da settimane è se la Germania stia perseguendo un disegno, ed eventualmente quale, oppure se invece il suo governo sia semplicemente ostaggio dei sondaggi di opinione.
Partiamo dalla prima ipotesi, che Berlino abbia un disegno. Qualcuno ha ipotizzato che l’atteggiamento tedesco nei confronti della crisi greca fosse il primo passo verso una ridefinizione dei confini di Eurolandia, la cui tappa finale sarebbe l’uscita dall’euro dei paesi fiscalmente più deboli, i quali si sarebbero dovuti accontentare di una seconda valuta, una sorta di euro di seconda classe. Altri invece hanno ritenuto che il disegno sia quello di imporre all’intera area una rigidità fiscale assoluta, una applicazione radicale della dottrina storica della Bundesbank. Lasciar esacerbare la crisi di Atene sarebbe un mezzo per costringere tutti i paesi dell’euro, in cambio del sostegno tedesco ad Atene, ad accettare una stretta vigorosa all’applicazione dei parametri di Maastricht. La seconda ipotesi è che un disegno Berlino non ce l’abbia, che il governo e la maggioranza a sei mesi dalla vittoria alle elezioni soffrano già di una caduta di consenso e siano quindi condizionati nelle loro scelte dalla prossima scadenza elettorale del 9 maggio nel RenoWestfalia, il cui esito potrebbe togliere ad Angela Merkel la maggioranza al Bundesrat,il senato di Berlino.
Che sia vera la prima o piuttosto la seconda lettura del comportamento della Germania, non è comunque una buona notizia. Per l’Europa ma anche per la Germania stessa, che nel primo caso dimostrerebbe di non sapere gestire costruttivamente un progetto cinquantennale del quale è stata protagonista e di trovare più semplice distruggerlo alla prima difficoltà, senza valutare a fondo l’impatto sugli interessi di lungo termine dei suoi cittadini, della sua economia, della sua industria; e nel secondo di avere un governo e una maggioranza che navigano a vista, che seguono l’opinione pubblica senza riuscire a orientarla e a trasferirle una visione degli interessi profondi del paese e dei valori ai quali sono ispirati.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Il salvataggio della Grecia sarà assai più costoso di quanto lo sarebbe stato se si fosse intervenuti all’inizio dell’anno, la crisi ha già contagiato altri paesi, i cittadini tedeschi sono contro quelli greci e quelli greci contro i tedeschi.
Tutto ciò non era inevitabile. Alla fine dello scorso gennaio, in occasione del World Economic Forum di Davos, intervistato da questo giornale Nuriel Rubini disse una cosa molto semplice, che per affrontare la situazione ci volevano due cose: un serio piano di rientro dal deficit del governo di Atene e una pistola sul tavolo, ove questa pistola avrebbe dovuto essere rappresentata da un congruo pacchetto di miliardi la cui funzione sarebbe stata quella di rassicurare i mercati sulla solvibilità della Grecia e di scoraggiare la speculazione. Secondo Rubini la soluzione migliore sarebbe stata di chiedere quei miliardi al Fondo Monetario Internazionale che esiste proprio per aiutare i paesi in difficoltà. In questo modo, aggiungo io, si sarebbe ‘comprato’ il tempo necessario per costruire modi e quantità di un intervento europeo, tempo che avrebbe potuto essere utilmente utilizzato dai governi per spiegare alle rispettive opinioni pubbliche che non si trattava di regalare soldi a chi non li meritava, ma di prestarli a un governo che non è quello responsabile dello sfascio per rimettere a posto i conti, assistendolo e controllandolo opportunamente, per far sì che anche la Grecia diventi un paese virtuoso e che il progetto dell’euro e dell’Europa possa andare avanti nell’interesse di tutti.
Sappiamo che non è andata così, che l’intervento del Fondo è stato a lungo ostracizzato e che quello europeo ha impiegato un tempo infinito a concretizzarsi, con gran gaudio degli speculatori che hanno potuto mettersi in tasca miliardi, mentre l’Europa perdeva credibilità presso i suoi cittadini e il mondo intero ogni giorno che passava.
Se usciamo dalla frenesia della cronaca e vogliamo comprendere davvero quello che sta accadendo, non possiamo però fermarci alla prima domanda che ci siamo posti, ovvero cosa abbia guidato le scelte di Berlino in questi mesi turbolenti. Dobbiamo andare oltre, perché oltre c’è qualcosa. Oltre c’è l’emergere di meccanismi che sono un impasto di buone ragioni e di nuovi egoismi, di paure e di necessità: è il frutto avvelenato e non ancora finale della crisi, che ha aumentato i debiti e ridotto le risorse, accentuato incertezze e alimentato nostalgie.
Il primo dato è che la crisi ha distrutto ricchezza e lavoro, anche i paesi più ricchi sono oggi più poveri di quanto lo erano nel 2007, ci sono meno soldi per lo sviluppo e per il welfare. Quando ci sono meno soldi bisogna assolutamente spenderli bene, ci vogliono comportamenti virtuosi, il che è l’eredità positiva di questa vicenda, ma automaticamente si è meno disposti a spenderli per aiutare chi ha mal speso in passato. La parabola del figliol prodigo ha meno audience, il vitello grasso da macellare non c’è e quello magrolino che resta si preferisce mangiarselo tra chi ‘se lo merita’.
Non è solo un problema tedesco. In Italia il messaggio della Lega vincente è questo, ripetuto nei giorni scorsi da un governatore del Nord: siamo stanchi di pagare per il sud spendaccione.
Si può non condividere, ma in tempi di mezzi scarsi un sentimento del genere è perfettamente comprensibile, come è comprensibile che qualche movimento politico lo cavalchi per conquistare facili voti. Si può prevedere che se la ripresa non acquisterà vigore in tempi brevi questo sentimento prenderà ancora più piede e forse diventerà prevalente, condizionando così non solo il futuro dell’Europa ma anche di singoli paesi. In Belgio sta già accadendo, l’Italia è ai primissimi posti nella lista.
Questo nuovo egoismo è pericoloso, per la coesione sociale e per lo sviluppo, perché, ci è stato ripetuto in tutte le lingue, nel mondo globalizzato presentarsi divisi è una carta perdente. E ancora di più perché la divisione crea rancori, contrapposizioni, localismi pericolosi.
E tuttavia, poiché questo nuovo egoismo individuale e collettivo, che è arrivato a far sì che la Germania sia arrivata a muoversi come la Lega d’Europa, ha alle base dei fatti reali la scarsità di risorse e i comportamenti non virtuosi di alcuni paesi e di alcune regioni condannarlo non è sufficiente e sottovalutarlo è pericoloso. Bisogna capirlo, ammetterlo e contrastarlo ridando una nuova legittimità alla coesione, alla solidarietà e un nuovo senso allo stare insieme.
Questa è un’onda lunga che potrebbe travolgere l’Europa e anche l’Italia. Non ci saranno più né i famosi ‘pasti gratis’ né gli altrettanto famosi ‘piè di lista’, per la semplice ragione che i soldi non ci sono e che chi ancora un po’ ne ha sarà sempre meno disposto a darli a chi a suo parere non li merita. L’Italia, trainata dalla Lega, sta andando incontro non si sa con quale convinzione all’incognita del federalismo e lo fa nel momento peggiore. Stiamo attenti: se le forze politiche meno opportuniste non riusciranno a contrastare seriamente la crescente egemonia dei nuovi egoismi, e se le regioni del sud ora guidate quasi tutte dal centrodestra non daranno chiarissimi segnali di voler aggiustare i conti non si spaccherà solo la maggioranza, che potrebbe non essere un danno esiziale, potrebbe spaccarsi il paese.

Fonte: Affari e Finanza del 3 maggio 2010

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