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Gli squilibri demografici alla lunga sinonimi di guerra

Da dove verranno i prossimi conflitti su grande scala? Probabilmente non dal fanatismo islamico o da veri e presunti “scontri di civiltà”. Ma, ancora una volta come nel secolo scorso, dalla demografia. Con caratteristiche, però, molto differenti da quelle di allora. Nel Novecento, l’ipotesi della mancanza di uno “spazio vitale” entro i confini politici dell’epoca, attizzò spinte belliciste in Giappone, Germania ed anche Italia. Oggi la Cina, prima, e l’India, poi, stanno per diventare i focolai delle guerre mondiali prossime future a ragione delle loro politiche demografiche e delle modifiche che esse comportano alla struttura per genere delle loro popolazione. E’ tema che spesso si ignora, quasi da “dialogo proibito”, anche se di recente pure in Italia si è levata qualche voce contro la “stage delle innocenti” (ossia di bambine quasi sul punto di nascere oppure appena partorite Le politiche di controllo delle nascite, le culture tradizionali e la diffusione delle tecniche di selezione pre-natale hanno, in Cina ed in India (una popolazione complessiva di 2,5 miliardi di uomini e donne) un effetto congiunto: la creazione di società in cui per ogni 120-150 giovani maschi in età di prendere moglie non ci sono più di 100 ragazze. In Cina, sin dai tempi di Mao, la politica delle nascite prescrive (con eccezioni per le aree rurali) che una coppia non possa avere più di un figlio: la tradizione dà maggior valore al maschio (a cui è affidata la continuazione della famiglie) che alla femmina (ai cui bisogna dare una costosa dote prima che vada a formare una famiglia altrui). Sino ai due lustri fa, le bambine venivano spesso uccise sul nascere; oggi, dall’ecografia si transita sovente all’aborto sino a quando non giunge il figlio maschio. In India non c’è una politica demografica esplicita tanto rigorosa quanto quella in vigore in Cina; si stanno, però, diffondendo prassi analoghe per contenere la dinamica demografica; la preferenza tradizionale delle famiglie a favore di eredi maschi fa il resto.
Già oggi in Cina sono il numero dei ragazzi ventenni supera del 25% quello delle ragazze; in cifre assolute, siamo ad una differenza di oltre 50 milioni (quasi un’Italia solo di giovanotti con il testosterone ai livelli più elevati e predisposti a mettere su famiglia, ma privi di donne). Non che l’evoluzione non fosse stata anticipata dalla demografia: si stimava però che vi si sarebbe giunti tra un paio di decenni e che (nel frattempo) il progresso tecnico avrebbe permesso di allentare i rigori della regola “un solo figlio per coppia”. La tecnologia ha, invece, progredito in senso opposto: agevolando la selezione pre-natale e la diffusione dell’aborto a scopi di scelta del genere del nascituro. Andrea M. de Boer e Valerie Hudson ne analizzano le implicazioni politiche alcuni anni fa nel libro “Bare branches: the security implications of Asia’s surplus male population”. Non c’è da stare allegri: salvo un ritorno della poliandria (ora in vigore solo in Polinesia, pur se praticata – pare- anche in certi ambienti dell’aristocrazia del Madagascar), società in cui i giovani maschi sono tanto più numerosi delle fanciulle tenderanno a replicare, su scala continentale (e mondiale), il ratto delle Sabine. I giovanotti non avranno altra scelta che andare alla conquista di donne in terre e Paesi altrui per soddisfare i propri istinti di sesso e di paternità. Uno squilibrio tra i generi così marcato – aggiunge Steve Fish dell’Università di Berkeley – non può non creare instabilità pure all’interno dei singoli Paesi: un’analisi comparata mostra una marcata tendenza a dar vita a regimi autoritari ed a discriminazioni (pure violente) nei confronti) delle donne. I conflitti nel Nord Ovest della Cina ai confini con Mongolia e con Siberia avrebbero la caccia alle donne (di popolazioni ancora in gran misura nomadi) tra le loro determinanti Altra conseguenza: il giovane maschio senza donna (e senza prospettive di paternità) è il soggetto che si arruola più facilmente nei gruppi terroristi.
Non c’è una soluzione facile: l’Europa, però, non può nascondersi dietro ad un ditoe fare fina di nulla.

Fonte: Avvenire del 21 gennaio 2011

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