Unautocritica così, nessuno se laspettava: Bisogna ammettere che abbiamo sbagliato. E ancora: I padri fondatori delleuro sono stati troppo ambiziosi. Non lo scrive uno dei tanti euroscettici che si fregano le mani, a destra come a sinistra: non è Antonio Martino né Giorgio La Malfa, per citare due politici ed economisti di scuola e collocazione diversa, luno seguace di Milton Friedman e laltro allievo di Franco Modigliani. No, lautodafé, pubblicato in prima pagina dal Sole 24 Ore sotto il titolo Il re è nudo, viene niente meno che da Guido Tabellini, rettore dellUniversità Bocconi, economista apprezzato urbi et orbi, in corsa per il Tesoro nel governo dei tecnici guidato da Mario Monti. E se si spinge a tanto un luminare, misurato e moderato, come lui, allora davvero stiamo assistendo a un cambio di stagione, un ripensamento radicale che fa cadere anche il totem attorno al quale ha danzato la Seconda Repubblica.
Con la sinistra o con la destra al governo, con gli slanci federalisti di un Carlo Azeglio Ciampi o i mal di pancia euroscettici di Giulio Tremonti prima maniera, tra la prudenza pragmatica di Romano Prodi (che poi fece di necessità virtù) e i moniti di Antonio Fazio (che si piegò con lealtà alla scelta dellintero paese), leuro è stato il faro dellItalia dal 1992, quando Guido Carli e Giulio Andreotti misero le loro firme sotto il trattato di Maastricht. Ununione mistica, altro che monetaria; una missione salvifica: non un matrimonio dinteresse, ma il deus ex machina, il vincolo esterno che ci trascina volenti o nolenti nella modernità come scrisse proprio Carli. Eppure, si erano sbagliati. Helmut Kohl aveva rinunciato al marco per far ingoiare ai francesi la nuova Germania. François Mitterrand sperava di affidare alla Francia quel ruolo guida sullEuropa sfuggito al Gran Corso e al Gran Generale. Jacques Delors credeva di aver trovato una scorciatoia verso lunione politica. Un gigantesco abbaglio, un equivoco storico. E adesso lEconomist, quasi incredulo si chiede: E davvero la fine?
Luscita di Tabellini non è né estemporanea né isolata. Al contrario. Sul Corriere della Sera, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi chiedono una rivoluzione per salvare leuro e i 60 anni che abbiamo dedicato a costruire lEuropa. Questa rivoluzione implica un cambiamento dei trattati estendendo i poteri esecutivi della Ue alla politica di bilancio, non alle singole misure, ma ai conti pubblici aggregati: evoluzione del debito e saldi di bilancio. Guido Rossi, grande avvocato fustigatore del malcostume mercatista, dalle colonne del Sole invia lirici accenti: E tempo allora che i paesi debitori abbandonino la tirannica speculazione dei mercati e si rivolgano ai prestatori ufficiali. Non resta qui che una sola strada, cioè far diventare la Bce, privata dei poteri di indirizzo economico, il prestatore di ultima istanza che acquista i titoli dei debiti pubblici degli stati debitori sottraendoli alla speculazione e al default. Così avviene laddove esistono Banche centrali con quella funzione come in Inghilterra e negli Stati Uniti. Già. Ma così non hanno mai voluto (e non vogliono ancora oggi) i tedeschi i quali hanno imposto il modello Bundesbank. Con una differenza: la Buba compra i titoli tedeschi, come ha fatto in modo consistente mercoledì quando il 35 per cento dei Bund sono rimasti inoptati; funzione interdetta alla Bce. Alla fine, la costante tutela della Germania sostiene Marcello De Cecco, storico della finanza ha messo in questione lindipendenza politica della Banca stessa.
Insomma, non sono riforme tecniche da realizzare in corso dopera. Si tratta di riscrivere i trattati, come chiede lo stesso Tabellini. Una operazione che ovviamente non si può fare in un batter docchio. Con il rischio che sia già troppo tardi. Cè tempo fino a gennaio, poi leuro va in frantumi, vaticina Jacques Attali, un altro eurofilo pentito. Fu lui che, in quanto consigliere di Mitterrand, spinse il presidente francese a imboccare la strada dellunificazione monetaria che divideva il paese e le forze politiche in modo verticale. Pronti alla difesa del franco e della sovranità nazionale, non cerano solo Jean-Marie Le Pen allestrema destra e il Partito comunista allestrema sinistra, ma una buona metà dei gollisti e almeno un terzo degli stessi socialisti. Del resto, uno dei suoi leader più coccolati da Mitterrand, Laurent Fabius, sè poi messo a capo della fazione euroscettica. Attali non vuole uscire dalleuro, ma chiede anchegli di superare i limiti imposti a Maastricht, il principale dei quali è lautonomia delle politiche fiscali, a favore di un federalismo budgetario che non trova daccordo i tedeschi (la Corte costituzionale ha sentenziato che ogni decisione su come utilizzare il denaro dei contribuenti deve passare per la commissione Bilancio del Bundestag), ma nemmeno la maggior parte dei francesi.
Un ruolo diverso della Bce, ecco il nuovo mantra. Lo recita un economista di sinistra come Jean-Paul Fitoussi, lo rilancia Carlo De Benedetti, già tessera numero uno del Partito democratico, il quale non solo vuole la trasformazione della Bce in una vera Banca centrale sul modello della Fed, ma auspica ladozione di Eurobond. E arriva a scrivere tranchant: Non si può far politica dando ascolto solo agli umori delle birrerie. Leconomia tedesca sta traendo un enorme vantaggio dalla moneta unica. Ecco un altro argomento finora lasciato agli euroscettici. Invece, si sta facendo largo con forza, anche grazie a una serie di studi, una vera letteratura economica sugli squilibri fondamentali allinterno della zona euro ricca di conseguenze politiche.
LUbs, lUnione delle banche svizzere, ha appena elaborato un rapporto sul tema, già sviluppato lo scorso anno in un paper di alta caratura scientifica da Francesco Giavazzi e Luigi Spaventa. La moneta unica era concepita come il primo passo verso una integrazione progressiva fino alla meta finale (almeno per i federalisti). Che cosa è successo? Una tabella della Banca dItalia (nella Relazione generale 2010), mostra le bilance dei pagamenti dei paesi che compongono Eurolandia e la posizione netta sullestero, tra il 1999 e il 2009. La bilancia della Germania è passata da meno 1,3 punti a più 5. Quella della Spagna da
-2,9 a -5,4. La Grecia da -5,5 a -11,3. Il Portogallo da -8,5 a -9,3. LItalia che era in leggero attivo nel 1999 adesso ha un passivo di tre punti, esattamente come la Francia. Il dibattito economico ha sottolineato il ruolo di questi squilibri nella crisi mondiale del 2008 (la Cina sempre in surplus e gli Usa sempre in deficit, alimentando così un circuito perverso). Ebbene contano anche nella crisi odierna allinterno della Ue. Questo contraddice lo studio di Olivier Blanchard e Francesco Giavazzi del 2002 secondo il quale nel periodo immediatamente successivo alleuro cè stato un processo di convergenza a tutti i livelli a cominciare dalla produttività, con un flusso di capitali dai paesi in attivo a quelli in passivo. Cosa ha rimesso in discussione le buone promesse dellunione?
Leuro è nato più forte della lira e più debole del marco. Se oggi la Germania tornasse indietro, come auspica la maggioranza dei tedeschi, stando ai sondaggi, la valuta nazionale varrebbe almeno il 20 per cento più della parità sulla quale è basato leuro. In altri termini, starebbe attorno alle 2.200 lire (ricordiamo che leuro è pari a 1.936,27 lire). La svalutazione ha avvantaggiato le esportazioni tedesche nei paesi dellEurolandia. Il primo gennaio 2002 quando i primi biglietti europei sono usciti dai bancomat, un euro valeva 0,89 dollari. La Bce ha tenuto i tassi più alti rispetto alla Fed e nel 2004 leuro era salito a 1,36 (il 15 luglio 2008 raggiunse 1,60). La bilancia estera della Germania è tornata in attivo e la successiva rivalutazione ha favorito i Konzern germanici (da Volkswagen a Siemens, da Krupp a Daimler) in giro a far shopping in Asia, gigantesca area del dollaro. Là dove le imprese italiane, al contrario, non comprano aziende, ma esportano manufatti.
Cè anche un altro meccanismo perverso, squisitamente finanziario. Prima delleuro, quando unazienda doveva fare un investimento in Italia, si copriva dal rischio di cambio stipulando un contratto pronti contro termine in valuta locale. Per esempio vendeva titoli in dollari e li comprava in lire. Oggi la valuta è sempre la stessa, ma non i titoli. Le operazioni sono in euro, però vengono acquistati solo titoli con la tripla A. I tedeschi rispondono che non è una colpa avere un bilancio pubblico a posto, aziende produttive e marchi solidi allestero. Certo che no. Non tutto è in equilibrio perfetto entro ununica area monetaria, sottolinea leconomista americano Barry Eichengreen. Ma ci sono squilibri buoni come quelli determinati dalla differenza di produttività, che si trasformano in meno che non si dica in squilibri cattivi. Riaffiora, così, non solo un contrasto dinteressi e di politiche, ma anche un conflitto di modelli economico-sociali dietro i quali si nascondono differenze culturali. Il Lebensraum, lo spazio vitale della nuova Germania unificata, cioè la Mitteleuropa più lOlanda, diventa sempre più ostile ai paesi mediterranei e atlantici, ma sallontana anche dal Reno. La Gran Bretagna, del resto, è rimasta fuori per incompatibilità di modelli non per atavico isolazionismo.
Nel racconto dei dieci anni che hanno portato allunione monetaria, condotto con il ritmo di un thriller, Gabriel Milesi mostra una partita a tre, giocata senza esclusione di colpi tra Germania e Francia, sospettose nei confronti luna dellaltra. In mezzo lItalia, commissariata dalla Bundesbank, con Parigi (alla cui guida cerano Lionel Jospin primo ministro, Dominique Strauss-Kahn alle Finanze e Jacques Chirac allEliseo) pronta a far da sponda a Roma, ma come impaurita dallinflessibile Theo Waigel, ministro delle Finanze tedesco, quello del Dreikommanul (tre per cento virgola zero). Era il 1998. Da allora non è cambiato, nel fondo, niente o quasi. Il vertice di giovedì tra Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e Mario Monti dimostra le divergenze di fondo tra i grandi paesi dellEurolandia.
Riaggiustare lunione monetaria, dunque, richiede mutamenti strutturali. Anche perché ci sono molte cose alle quali i padri fondatori non avevano pensato. Quei visionari inguaribilmente ottimisti non credevano che potesse entrare in crisi larea euro nel suo insieme, il centro non solo la periferia; quindi, hanno lasciato la moneta senza un sostegno comune contro un pericolo comune; hanno scelto dei criteri come il tetto del 3 per cento al disavanzo pubblico sul prodotto lordo e del 60 per cento al debito, in modo sostanzialmente arbitrario, come spiega David Marsh nella sua storia delleuro.
Nel 2003 la Germania e la Francia non rispettarono il criterio base, cioè quello del disavanzo. E non successe nulla. Si aprì un dibattito sulla riforma del patto di stabilità, un patto stupido lo chiamò Prodi che era presidente della Commissione europea. Mario Monti propose di non tener conto delle spese per investimenti e degli effetti della congiuntura. Tante parole, nessuna decisione. Con la crisi dei subprime e il crac di Lehman Brothers, è caduto anche lultimo vestito dellimperatore. Secondo De Cecco, lerrore capitale avviene nel 2008, quando la Germania scarta un intervento coordinato contro la crisi finanziaria. A quel punto, liberi tutti e i mercati cominciano la caccia partendo dalle prede più deboli. Il mix deleterio di ortodossia e mancanza di coordinamento aggiunge il professore ha favorito la speculazione. E la Grecia è servita da detonatore, smentendo lillusione che la necessità avrebbe creato listituzione.
Il gallo ha cantato già due volte e leuro non ha né padre né madre. Al terzo canto, sarà già in agonia. Cè da attendersi un intervento di Giuliano Amato, magari domani sul Sole. O qualche appello buonista di Carlo Azeglio Ciampi. Prodi ha sposato la proposta di Alberto Quadrio Curzio di emettere Eurobond dedicati allo sviluppo, un modo elegante per lanciare la palla in avanti. Ma cè anche chi, da europeista convinto, sta cominciando a spingersi molto in là, come Paolo Savona. A lungo braccio destro di Guido Carli, fin dagli anni in Banca dItalia, ministro nel governo Ciampi, esperto di questioni monetarie internazionali, ha condiviso il progetto unionista, ma anche gli appelli inascoltati a costruire un sistema internazionale in cui il nuovo euro e il vecchio dollaro, lo yen, il renminbi o la sterlina, potessero trovare un punto di equilibrio comune. Da tempo critica il modello tedesco al quale la Bce si è uniformata. E di fronte allirrompere della crisi, ha cominciato a pensare limpensabile: un piano B per far uscire lItalia dalla trappola. Ciò vuol dire abbandonare leuro? Vuol dire creare le condizioni per un contrattacco preventivo. E stato un errore non avere preparato già una exit strategy. Adesso è arrivato il momento; il mercato è convinto che lEuropa non ci salverà, dunque dobbiamo salvarci da soli.
Unondata nazionalista scuote gli eurofili dantan? O è una reazione emotiva a una crisi nientaffatto passeggera? Né luno né laltro. LItalia si è gettata nellavventura con entusiasmo, ma anche con troppe illusioni. Leuro era stato definito un ombrello, un porto sicuro di fronte alle tempeste. Se ne decantavano i vantaggi, glissando sul contesto mondiale. Doveva garantire denaro a basso costo, fondamentale per un paese affamato di capitali, grazie ai quali avremmo avuto un debito pubblico inferiore e maggiori investimenti. Nellultimo decennio abbiamo vissuto unabbondanza di denaro liquido, grazie alla politica monetaria espansiva della Fed che ha accompagnato una spinta di mercato ad abbassare i tassi reali a lungo termine. Di fronte a queste forze esogene, davvero avremmo avuto tassi elevati in unEuropa senza euro? Sembra improbabile. La moneta unica doveva assicurare una bassa inflazione, salvo la fiammata dopo il changeover. Ma fino al 2007 non sè verificata nessuna spinta dal lato dei costi né interna (grazie ai bassi salari) né esterna (grazie alla riduzione dei beni industriali nei paesi in via di sviluppo). Quando le materie prime (prima grano, poi petrolio) sono balzate in alto, leuro non ha fatto da scudo. Lanno successivo, la crisi finanziaria si è manifestata in Europa con la stessa virulenza. Il Fondo monetario ci dice che gli Usa nel 2009 hanno perso il 3,5 per cento contro il 4,3 dellarea euro, e sono cresciuti del 3,1 lanno successivo, quello della ripresina, contro l1,8 dellEurolandia. Questanno lAmerica rallenta, ma lEuropa non accelera; non ce la fa. Insomma, nessun vantaggio in termini di crescita, il dato medio dello scorso decennio lo conferma. Infine il debito che resta nazionale, anche se denominato in una valuta sovranazionale, crea una contraddizione di fondo senza un assetto federale tipo Stati Uniti.
Torniamo, dunque, alle vecchie monete? O magari introduciamo due euro, come propone Luigi Zingales? AllItalia non conviene. Nemmeno alla Francia che si troverebbe schiacciata da un euro-marco. Ma persino i tedeschi avrebbero più costi che vantaggi. Siamo in una trappola che leconomia o la politica non riescono a spiegare. Come sempre quando la ragione si blocca, bisogna ricorrere alla poesia. E viene in mente quel verso degli Amori in cui Ovidio si rivolge a Syria sospirando: E così io non posso vivere né con te né senza di te.
Gli Europentiti
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