• lunedì , 23 Dicembre 2024

Gli affari dei professionisti. Il network che serve alla carriera

Da Linkedin a Viadeo, come cambia la rete per avvocati e ingegneri Gli incontri offline Molte iniziative online poi danno vita a incontri «reali» Il caso del convegno in Assolombarda partito via web Il passaparola hi-tech La tecnica del passaparola hi-tech che consente di ridurre le spese pubblicitarie Nasce il marchio dell’ identità.
Ai professionisti italiani piacciono da matti i social network. Ed è un fiorire di iniziative. Solo per rifarci a un episodio recente Bni, un network presente in 50 Paesi, ha stupito gli industriali milanesi riempiendo la sala grande della sede Assolombarda (circa 300 persone) per il suo evento annuale. Linkedin intanto macina contatti e iscritti, Viadeo e Xing inseguono e non si contano i network specializzati per professione (chiamati «verticali»). Oltre a Legal.it per gli avvocati, Ingforum per gli ingegneri, Inarcommunity per architetti e ingegneri assieme, l’ internazionale Architizer, Sermo per i medici e via di questo passo. Ma cosa spinge tutti a cercare contatti via Internet e a intessere rapporti online con i propri colleghi? Si sta affermando un nuovo modo di interpretare le gloriose professioni liberali? I sociologi più attenti, come Ivana Pais dell’ università di Brescia, li stanno studiando. Sostengono di trovarsi davanti a qualcosa di nuovo. Non si tratta di un movimento vecchio stile perché la dimensione collettiva appare lontana e non è rivolto contro un «nemico», c’ è sicuramente voglia di fare comunità anche se in maniera sui generis (e non legata al territorio), non trova campo l’ idea di rappresentanza almeno per come l’ abbiamo intesa finora. Ordini e associazioni rimangono molto sullo sfondo, in qualche caso trapela nei loro confronti una polemica esplicita ma senza pathos. I professionisti di Linkedin, Viadeo, Xing preferiscono muoversi lungo altri binari. E le stazioni si chiamano Mercato, Mobilità, Aggiornamento e Socializzazione. Perché esplode proprio adesso la voglia di networking? Per un insieme di cause, viene da rispondere. Si parte da una condizione di invisibilità sociale che pesa, si incrocia un disagio generazionale che vede contrapposte le nuove leve ai senior e che denuncia le rendite di posizione che travolgono la meritocrazia. Ci sono poi problemi di mercato stagnante perché la Grande Crisi e la debolezza del terziario italiano hanno determinato una selezione dura tra i professionisti e minacciano di non aver ancora terminato il «lavoro sporco». I patiti del networking sono poi più internazionalizzati dei loro precedessori e sentono l’ esigenza dell’ aggiornamento continuo, di essere sempre professionalmente up to date, informati su tutto. C’ è infine tra le motivazioni che stanno facendo la fortuna dei social network anche una spinta alla socializzazione, perché lavorando in molti con la formula dello studio individuale sentono di più la necessità di avere contatti, di incontrarsi, di «stare nel giro». Del resto i primi scienziati sociali che cominciarono a studiare le reti – l’ antesignano è l’ americano Mark Granovetter – sostenevano che servivano a conferire «forza ai legami deboli». Non è un caso, dunque, che molti network diano vita, in una fase successiva a quella di lancio, a manifestazioni o aggregazioni offline. Tipica l’ esperienza dei ClubIn nati da Linkedin in diverse città italiane (vedi Corriere del 9 novembre 2010). Se ragioniamo sulle dinamiche di mercato il caso da studiare è sicuramente quello di Bni, un acronimo che sta per Business International network, presente in tutto il mondo con 135 mila iscritti. In Italia ne conta 600 con l’ obiettivo esplicito di scambiarsi referenze. Per entrare si paga un’ iscrizione di poco superiore ai mille euro annuali, si viene strutturati per gruppi (in gergo capitoli) e gli incontri iniziano alle 7.30 del mattino e durano massimo fino alle 9. Fanno colazione, ognuno parla per soli 60 secondi durante i quali deve raccontare ciò che sta facendo e che tipo di clienti cerca, poi si analizza un caso particolare e infine ci si scambiano le referenze. «La nostra è una corsia complementare per allargare il portafoglio clienti – dice Paolo Mariola, torinese -. Una campagna pubblicitaria costerebbe molto di più mentre il porta a porta richiede tempo illimitato. Così si dà vita a un passaparola basato sulla reputazione e la fiducia». Siccome in ogni singolo capitolo i partecipanti fanno tutti lavori differenti tra loro, si impegnano quando incappano in potenziali clienti ad allungare (anche) il biglietto da visita dei sodali. Ma non accade qualcosa del genere anche nei Lions o nei Rotary? «E’ differente – risponde Mariola -, quei club vengono frequentati per socializzare e poi in via subordinata si fanno affari. Da noi invece non ci sono ipocrisie». Gli altri social network più che al business nudo e crudo sono attenti a un altro segmento del mercato, quello della mobilità professionale. In fondo molti frequentano Linkedin (90 milioni di iscritti nel mondo e più di uno in Italia) proprio per mettersi in vetrina, farsi conoscere, sondare le opportunità, acquistare referenze per un obiettivo che è far carriera, muoversi da un posto a un altro, possibilmente verso l’ alto. La dimostrazione che sia questa l’ applicazione-chiave di Linkedin sta nel rendiconto che il network ha iniziato a inviare a un campione di iscritti: comunica a ciascuno quante delle persone linkate con lui hanno cambiato lavoro o posizione nell’ ultimo periodo. Un «autospot», un modo per dimostrare che il network funziona perché alimenta la mobilità. Linkedin è frequentato in maggioranza da professionisti alle dipendenze di aziende del terziario o di multinazionali, dove è maggiore il rischio (percepito) di restare anonimi. «Attraverso il network un professionista può esporre il proprio curriculum senza dichiarare di essere esplicitamente alla ricerca del lavoro – spiega Ivana Pais -. Salva la faccia, si tiene aperte più possibilità e valuta in funzione delle proposte che riceve». Se Linkedin per la matrice anglosassone ha un profilo global, la concorrente Viadeo (35 milioni di iscritti di cui uno da noi) viene dalla Francia e ha scelto un approccio glocal, è più attenta ai mercati locali, alle province e ai distretti. «Spingiamo i nostri iscritti non tanto a cambiare lavoro ma a costruirsi una propria rete di relazioni già dall’ università tramite colleghi e docenti – racconta Sabrina Mossenta, partnership manager di Viadeo Italia -. E’ un meccanismo di personal branding che mette in condizione il singolo professionista di affacciarsi sul mercato con una propria identità». Un’ applicazione importante di Viadeo è l’ area esperti. Gli utenti si scambiano domande e risposte di tipo professionale e attraverso questo meccanismo si creano relazioni privilegiate, ci si sceglie in base alle competenze mostrate «sul campo». Un po’ per farsi concorrenza un po’ per rispondere alle attese degli iscritti, tutti i social network studiano nuovi servizi. E gli annunci si susseguono. Ma avendo chiaro che i professionisti chiedono anche socializzazione, Viadeo, ad esempio, sta sviluppando attività offline (noi diremmo: sul territorio) con gruppi e business club esistenti. Molto focalizzato sull’ aggiornamento è Legal.it, un gruppo italiano di discussione giuridica che conta 360 membri. La maggioranza (il 63%) ha uno studio a conduzione individuale e molti di loro dividono gli spazi fisici con altri, più dell’ 80% si occupa di diritto civile, per il 55% non è iscritto ad alcuna associazione professionale e per il 46% ha un reddito che si aggira tra i 30 e i 59 mila euro l’ anno, rastrellati per lo più tra privati e piccole imprese. Il motivo principale della frequentazione di Legal.it è lo scambio di conoscenze e di opinioni. Per non finire nell’ anonimato professionale gli studi monocratici devono specializzarsi in questo o quel ramo del diritto e così, quando capita un cliente che richiede altre competenze, la prima cosa da fare è consultare online un collega più versato in quella specializzazione. Se volete è una cooperazione di mutuo soccorso che funziona e dà corso a uno scambio impressionante di email. I membri di Legal.it non si sono mai incontrati fisicamente ma quando nasce un figlio si scambiano le foto e si comportano a tutti gli effetti come una comunità «calda». Un peso importante nello scambio di consigli lo rivestono le questioni deontologiche, sapere come un collega si è regolato in analoghe (e delicate) circostanze vale oro. Le informazioni ad alto valore aggiunto che si possono avere partecipando ai social network sono molte, una decisamente trendy riguarda gli eventi. E’ sempre più importante per un professionista che deve ottimizzare il suo tempo capire se vale la pena partecipare a un determinato convegno. Sapere in anticipo se può essere una buona occasione di socializzazione, se si possono incontrare le persone giuste (definite così non in base a criteri di mondanità ma di ottimizzazione delle relazioni). I veri esperti dei social network definiscono questa una modalità tipica di Facebook che poi ha contagiato anche Linkedin a dimostrazione di come il mondo dei social network viva in continuo movimento e ibridazione. «Il filo rosso che lega tutte le novità è la nuova centralità del capitale sociale – commenta la sociologa Pais – Finora era stato coltivato tramite organizzazioni come partiti, Chiesa, associazioni di volontariato e sportive. Nate per altri scopi ma che sono state utilizzate anche a fini professionali». Ora invece si affermano i social network che negli studi a loro dedicati sono definite «organizzazioni intenzionali», perché esplicitamente dirette a costruire e coltivare relazioni.

Fonte: Corriere della Sera 8 marzo 2011

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