Una tragica storia, svoltasi agli albori del periodo pre-risorgimentale, mi rimase impressa nella memoria fin dai tempi dell’ adolescenza: l’ uccisione nell’ aprile1814 a furor di popolo di Giuseppe Prina, ministro delle Finanze dell’ effimera Repubblica italiana, installata da Napoleone I a Milano. Una visione di sangue ed orrore che usciva dal quadro ideale di combattimenti tra italiani e austriaci, tra milizie francesi e ussari imperiali, trasmessoci dai quadri e dalle canzoni d’ epoca. Per contro emerse un lampo sanguinoso e improvviso di una guerra civile che covava sotto la cenere. Era vera o falsa la Storia che con tanta passione avevamo studiato? Cercai risposte, approfondii i fatti e da allora mi portai dietro qualche dubbio in più sulle versioni ufficiali diffuse dai manuali scolastici. Seppi che Prina si era distinto come uno dei primi tecnici sabaudi a servizio del futuro Stato italiano. Nato a Novara, preparatissimo in campo finanziario e tributario, venne chiamato a gestire le prime riforme. Dopo aver sistemato il catasto e realizzato il pareggio del bilancio, Prina ricevette onorificenze dall’ Imperatore e apprezzamenti dai cronisti dell’ epoca per la sua onestà ed equanimità. Meno soddisfazione veniva manifestata per la sostanza dall’ imposizione imperniata sulla vendita, l’ acquisto e il trasporto del sale. Così, mentre veniva descritto nei rapporti personali come persona «dall’ animo ricolmo di dolcezza», l’ opinione pubblica cominciò a immaginarselo «con un cuore che si ghiacciava e non era più lui quando entrava nel suo ufficio… dedito a spolpare i contribuenti con competenza unica». Non bastava che tutto ciò avvenisse in nome della libertà, della fratellanza e della giustizia. Quando le fortune di Bonaparte declinarono e le vendette antigiacobine presero il sopravvento, molti edifici pubblici vennero saccheggiati. La casa di Prina non venne risparmiata. Aggredito a martellate e finito ad ombrellate, gli fu negato il conforto di un sacerdote. Trascinatoa San Fedele, venne deposto esanime al Cordusio dove aveva sede il Demanio. I simboli del potere tributario e l’ onest’ uomo che li rappresentava vennero sacrificati assieme. Trarne qualche insegnamento sarebbe oggi uno stupido esercizio. Pur tuttavia non è inutile analizzare le linee dissennate, vendicative e irrazionali che l’ odio fiscale può assumere quando incrocia demagogiae disperazione, improvvise povertà e assenza di prospettive di esistenza, suicidi e fallimenti per pochi soldi. Il tutto in un quadro di promesse mancate, di speranze già non credute in partenza ma delle quali basta un giorno per rivelare la vanità. È grave che in questi giorni si sia individuata in Alfano, Bersani, Casini la triade responsabile dei ripetuti ripensamenti sulla sospensione del pagamento di una rata impropria dei rimborsi elettorali di 180 milioni. In casi tanto critici, meglio addossarne il peso a responsabilità collettive così da scaricarle sui moltie non sui singoli. Infine alquanto incongrua è apparsa la chiamata al proscenio di inedite figure di più esperti tagliatori di spesa, quasii tecnicia ciò preposti, con la fiducia del Parlamento in tasca, abbisognassero di una licenza di caccia per armi di maggior calibro. Ma ci si rende conto di dove rischiamo di andare a sbattere? Infine l’ ultimo appello suona quello a Giuliano Amato perché dica anche lui qualche battuta decisiva.. Per la stima che gli portiamo, gli auguriamo di accelerare la marcia indietro verso un prudente silenzio che ci è sembrato intravedere dalle sue ultime dichiarazioni.
Fonte: Repubblica del 7 maggio 2012Giustizia fiscale a colpi di ombrello
Maggio 7th, 2012
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L'autore: Mario Pirani - Socio alla memoria
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