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Gioco delle azioni con rialzi record

Un boom senza padre. Grandi guadagni ma senza un perché. Lecito l’ottimismo allora
Un vero e proprio boom, ma privo di spiegazioni plausibili e senza un briciolo di fascino. Le Borse di tutto il mondo macinano rialzi record, come e più della festa speculativa di fine millennio, eppure rispetto al 1999-2000 manca l’euforia e il “gioco delle azioni” non si è trasformato in fenomeno sociale. Il Dow Jones ha toccato giovedì scorso il massimo storico oltre la soglia dei 12mila punti, superando quello del gennaio 2000. Il Nasdaq, dopo aver toccato il suo punto più basso a fine 2002, oggi ha recuperato un quarto del suo valore, pur essendo ancora lontano dai record del 2000. Anche l’indice Stoxx europeo è ormai vicino al top che aveva toccato all’inizio del 2001. Madrid venerdì scorso ha segnato il suo record storico, con l’Ibex35 che ha sfondato quota 13500 punti. Lo Swiss Index ha superato il primato che risaliva al 21 luglio 1998. E Milano non è da meno – anche se con i suoi 706 miliardi di capitalizzazione, tra le Borse principali supera in dimensioni solo il listino scandinavo – visto che dal gennaio 2005 a giugno 2006 ha reso quasi il 30%, cui si aggiunge un altro 8% fino ad oggi, con il segmento Star che dalla fine del 2004 ha reso più del 50%. Anche per l’Asia è boom: a Tokyo il Nikkei è sui massimi; la Borsa indiana vive un periodo di forte rialzo, con il Sens (l’indice dei trenta principali titoli) che il 13 ottobre ha toccato la quota massima finora raggiunta; Singapore è ai massimi storici e Hong Kong ai picchi degli ultimi sei anni.
Grandi guadagni, insomma, ma apparentemente senza un perchè. Anzi, la caratteristica principale di questo boom sembra proprio quella di essere senza paternità. Sette anni fa la “rivoluzione digitale”, che partorì internet e la new economy, fu la causa – forse si potrebbe dire la scusa – della folle ascesa del Nasdaq, capace di trascinarsi dietro l’intero mercato finanziario mondiale. Un evento mediatico, una moda, nuovi status symbol, nuove teorie economiche, nuovi protagonisti: fenomenologie sociologiche che contribuirono non poco a gonfiare la bolla speculativa, ma che – almeno negli Usa – innescarono anche processi di trasformazione vera del sistema economico, da soluzioni di business come l’e-commerce ad una diversa organizzazione del lavoro passando per l’identificazione di nuove figure professionali.
Oggi, invece, la crescita tumultuosa ma senza “febbre” delle Borse non è il frutto di alcuna variabile. Certo, i listini asiatici risentono positivamente dello straordinario sviluppo economico di quelle regioni, ma a crescere sono anche quelli europei che hanno a che fare con un’economia reale non proprio brillante, anche a causa della nuova concorrenza mondiale. E anche i settori sono disomogenei: a tirare non sono le tlc, ma le utility, le banche, le assicurazioni. E c’è anche, per lo meno in Italia, il ritorno di aziende del manifatturiero maturo, come la Fiat. Insomma, tanti buoni motivi, nessuna causa scatenante ben definita. Ma chissà che proprio questo non sia una garanzia di solidità e di durata.

Fonte: Il Messaggero del 22 ottobre 2006

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