«La struttura industriale italiana sta cambiando. Tra le medie e grandi imprese ce ne sono alcune in difficoltà che potrebbero scomparire ma ce ne sono altre che potrebbero comprare. Chi esporta, ha tecnologie e modelli di business avanzati ha la possibilità di crescere facendo acquisizioni a prezzi prima impensabili. Alla fine di questo processo avremo più imprese di maggiore dimensione». Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, fa il punto all’inizio di questo 2013 che dovrebbe segnare la fine della lunga recessione. Cosa ha messo in moto questo processo? «La crisi ovviamente, e la selettività del credito. Le banche non possono più supportare tutti, devono scegliere e quindi i più deboli sono destinati a sparire. L’effetto si vede anche sulle catene di controllo: dovendo scegliere le banche tendono a finanziare la parte industriale. E’ una correzione positiva, le catene di controllo troppo lunghe aumentano il costo del rischio». E’ una delle ragioni che hanno creato turbolenza nell’assetto di controllo della Pirelli, dove peraltro lei è intervenuto personalmente per mettere intorno a un tavolo i due contendenti Tronchetti e Malacalza. Senza, peraltro, troppo successo. «Le parti sono ancora sulle loro posizioni, ma spero che non lo rimangano in eterno. E’ interesse di tutti che si trovi una soluzione». segue alle pagine 2 e 3 con un servizio di Andrea Greco segue dalla prima Questo suo intervento è sembrato una po’ più da banchiere di sistema, fuori dalla immagine che di lei si percepisce. «La banca ha rapporti con tutti e due e la Pirelli è una azienda di punta. In realtà ci occupiamo di molte cose, anche se non amo darne pubblicità. Questa volta la notizia è diventata pubblica. La logica non è quella della banca di sistema, ci interessa far crescere le aziende, ma non mettiamo capitale, collaboriamo semmai con i fondi di private equity che sono fondamentali per la crescita delle imprese e utili nei passaggi generazionali». Il panorama delle grandi aziende non è molto soddisfacente, tra Ilva, Fiat, Finmeccanica, Alitalia… «L’Ilva è un caso specifico, che sta avendo un impatto su tutta la filiera, ma la soluzione lì è nelle mani del governo e dei magistrati». E la Fiat? «L’auto cresce fuori dall’Europa e le aziende devono globalizzarsi. La Fiat si è mossa in anticipo e deve continuare su questa strada, è sbagliato contrapporre Italia e Stati Uniti, è un’azienda unica che deve diventare globale». E per Finmeccanica cosa vede? «E’ una delle poche conglomerate italiane rimaste, ed essere competitivi in tanti settori richiede enormi risorse che non ci sono. Quindi si deve identificare il proprio core business e concentrarsi su quello. Infatti in Italia non si discute il fatto che venderà Ansaldo ma a chi la venderà. Si deve riflettere sulla qualità dell’investitore ma senza pregiudizi su quelli esteri, molte volte è meglio un grande gruppo industriale internazionale che una cordata o un private equity che non sempre danno garanzie sul passo successivo». Dove forse siamo alla fine della storia è Alitalia. «Non siamo nella partita, ma non vedo merger a breve termine». Tutto questo avviene in quadro non facile, per l’Europa e per l’Italia. Qual è la vostra visione sull’economia europea? « P r e v e d i a m o u n 2013 quasi piatto, con una crescita media dello 0,1 o 0,2 per cento che sconta il meno 0,7 dell’Italia e il più 1 della Germania. Ci stiamo stabilizzando dopo un anno molto duro, e in più c’è l’incertezza delle elezioni in Italia e in Germania che freneranno un po’ le iniziative. Nel 2014 invece prevediamo crescita ovunque». L’Euro è ancora un problema? «Non lo è più dal giorno in cui Mario Draghi ha detto che la Bce lo avrebbe difeso a tutti i costi. Da allora nessuno ci ha più chiesto se l’Euro sarebbe sopravvissuto». Ma Grecia, Spagna, i problemi sono ancora lì. «Ci sono stati aggiustamenti macro quasi clamorosi se si considera da dove si è partiti: in Grecia il deficit sarà azzerato nel 2013 mentre l’export è esploso, ancora non si vede l’effetto sulla crescita ma il riposizionamento è sostanziale. Quanto alla Spagna è molto importante completare quanto concordato sulle banche». E’ sul piano istituzionale che i passi sono ancora troppo lenti. «E’ stata presa, e all’unanimità, la decisione sull’Unione Bancaria, il che è un dato importantissimo contro lo scetticismo che è stato a lungo dominante. Dal 2014 la regolamentazione sulle prime 200 banche sarà unica e uguale per tutti. Non mi sembra un passo da poco». Come valuta l’aggiornamento di Basilea III sui requisiti di liquidità? «Una decisione positiva, perché in periodi di recessione e di credito scarso l’incertezza sui requisiti di liquidità tratteneva le banche. Ora quell’incertezza non c’è più. Restano da fare altri tre passaggi fondamentali: il primo sul ‘matching’ delle scadenze, pretendere che raccolta e impieghi abbiano scadenze perfettamente simmetriche è un obiettivo poco realistico; il secondo è la definizione di criteri di valutazione del rischio differenziati tra banche d’investimento e banche commerciali; il terzo è l’armonizzazione dei criteri di valutazione sulla rischiosità degli attivi delle banche commerciali che deve essere uguale in tutti i paesi». Se l’economia europea nel 2013 sarà piatta, come andrà quella italiana? «La prima parte dell’anno sarà ancora difficile, per il trascinamento del 2012 e per il fermo preelettorale, poi nel secondo trimestre e ancora di più nel terzo avremo una crescita rispetto ai trimestri precedenti». Quanto peserà il risultato delle elezioni? «Sono importanti, se ci sarà una maggioranza stabile lo spread scenderà ancora e l’economia riprenderà vigore». Lo spread intanto si è dimezzato ma sul credito gli effetti ancora non si vedono. «C’è un gap temporale tra l’abbassamento dello spread e il beneficio per la clientela, ma quel beneficio comincia ad arrivare». In un mercato creditizio in panne… «Unicredit nel 2012 ha erogato oltre 10 miliardi di nuovo credito in Italia, sufficiente per coprire le scadenze a breve. Certamente sono state limitate sia la domanda sia l’offerta di credito a medio e lungo termine. Ora ci aspettiamo che dopo le elezioni aumenti la domanda di credito a breve, che grazie ai nuovi requisiti di liquidità sarà possibile soddisfare e, più lentamente, dovrebbe rivitalizzarsi anche il credito a medio e lungo, anche se a prezzi diversi dal passato». Nel 2012 voi, come le altre principali banche, avete fatto i bilanci riacquistando a prezzi bassi le vostre obbligazioni e facendo carry trade sui Btp con i soldi della Bce. Come farete nel 2013? «Noi abbiamo fatto utili con il buy back sulle nostre obbligazioni e grazie ai nostri investimenti all’estero, non abbiamo utilizzato i fondi della Bce per comprare Btp. Il 2013 non sarà un anno facile perché le sofferenze sui crediti continueranno a salire mentre la forbice dei tassi resterà bassa, ma noi stiamo lavorando molto sulla semplificazione e sulla riduzione dei costi e speriamo che nella seconda metà dell’anno il credito riparta». Unicredit in che condizioni affronta questo anno difficile? «Rispetto a un anno fa abbiamo capitale a posto, liquidità positiva, mercato buono per la raccolta e la giusta diversificazione geografica. In Germania, dove siamo molto forti, abbiamo risultati importanti grazie alle componenti corporate e investment banking, il centro ed est Europa crescono in attività e redditività, in Italia abbiamo risultati molto positivi sui costi, ricavi e risultato operativo lordo in crescita. Resta da stabilizzare il costo del rischio». Ovvero le sofferenze, che continuano a crescere. Quanto pesano quelle ereditate da Capitalia? «Non abbiamo fatto un calcolo preciso su questo, su un certo numero di clienti ci siamo trovati con una esposizione raddoppiata e questa è una delle ragioni che spiegano la differenza rispetto alla media del sistema». Come state affrontando quell’eccesso di impieghi rispetto alla raccolta che è la croce del sistema bancario italiano? «Spostando tutto il possibile verso il corporate banking, con due effetti: nelle emissioni di corporate bond siamo diventati i secondi in Europa e nei bond in generale siamo tra il terzo e il quarto posto. Questo ci consente di servire i clienti riducendo il credito diretto e sostituendolo con l’emissione di obbligazioni. Nel 2013 continueremo su questa strada agendo su imprese di fasce dimensionali più basse grazie anche alle nuove regole che consentono i minibond e i project bond. E’ un processo virtuoso, in Italia le imprese dipendono al credito bancario per l’85 per cento delle loro attività, è troppo. Dobbiamo spingere quelle che possono sul mercato dei capitali per avere lo spazio per dare credito alle più piccole che a quel mercato non possono accedere. E dobbiamo aumentare la pressione perché aumentino il capitale proprio, che alza il rating e riduce il costo del credito. Oggi investire in azienda è diventato più conveniente che in passato». Gli imprenditori lo fanno? «Cominciano, senza entusiasmo, anche vista l’incertezza economica del momento. Ma io, per esempio sulle ristrutturazioni, non ci sento più: se non ci mette i soldi l’imprenditore non ce li mette neanche la banca. Il primo a credere nella sua impresa deve essere lui!» Che obiettivi vi siete dati per quest’anno? «Il 2013 sarà l’anno della riorganizzazione commerciale del gruppo. In Italia, Germania e Austria ridisegneremo le reti, ciascuna secondo le esigenze del paese. In Italia abbiamo eliminato 600 unità organizzative, delegato le responsabilità alla rete, snellendo le operazioni e aumentando la rapidità delle risposte. La missione è tornare a conoscere il cliente e sono molto fiducioso che da questa riorganizzazione avremo ottimi risultati». Staccherete la rete italiana facendo di Unicredit una holding? «Certamente non è in agenda per il 2013». Ci saranno novità nel perimetro? «Stiamo rivedendo le presenze in vari paesi, investendo dove vale la pena e riducendo dove non vale la pena, ma non rinunciando nella maniera più assoluta ad essere un banca europea di riferimento». Come vede il futuro del gruppo? «Rispetto a un anno fa la situazione è completamente ribaltata, una volta sistemata l’Italia, e siamo sulla buona strada, il gruppo volerà, perché grazie alla nostra distribuzione geografica abbiamo delle prospettive non comparabili con altri e possiamo offrire prodotti che altri non possono offrire». Per esempio? «Siamo banca retail in Europa e corporate nel resto del mondo, siamo in una cinquantina paesi e abbiamo la massa critica per investire. Le faccio un esempio: in Cina abbiamo tre filiali e due uffici di rappresentanza ma soprattutto abbiamo una licenza bancaria piena che hanno pochissime banche europee e nessun’altra banca italiana. In Cina le grandi aziende tedesche, che sono circa 4 mila, ci chiedono gli stessi servizi che forniamo loro in Germania e prodotti sofisticati come il cash management. Lo possiamo fare perché abbiamo una massa critica sufficiente e possono beneficiarne tutti i nostri clienti comprese le aziende italiane». Un’ultima domanda: Mediobanca diventerà la vostra Imi? «No, Mediobanca definirà il suo piano industriale e continuerà per la sua strada, rimarremo due banche autonome».
Fonte: affari e Finanza del 14 gennaio 2013Ghizzoni:la ripresa a fine 2013
L'autore: Marco Panara
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