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Follie teoriche di Bruxelles

Deve essermi sfuggita qualche lezione o lettura in materia economica per poter aderire alle manifestazioni di quasi esultanza per l’uscita dell’Italia dalla vigilanza stretta sulla sua situazione di grave squilibrio macroeconomico deciso nel maggio 2012. Il rapporto dei Servizi della Commissione conferma che l’Italia presenta ancora gli stessi squilibri macroeconomici (carenze strutturali di lunga data, elevato debito pubblico, perdita di competitività, bassa produttività, specializzazione produttiva da paese emergente, pubblica amministrazione inefficiente), ai quali si è ora aggiunta una notevole diminuzione della resilienza delle banche che le vincola «nel sostenere l’attività economica e l’aggiustamento».
Poiché il Pil ha registrato una caduta reale del 7% in poco più di un quadriennio e la disoccupazione si è raddoppiata si può parlare con sconforto di un vero e proprio fallimento della politica economica italiana ed europea. Invece per via del successo delle scelte di aggiustamento fiscale decise, che si chiede vengano continuate, la Commissione propone l’uscita dell’Italia dalla stretta vigilanza. Per le persone dure di comprendonio come me, dovrebbe allegare il manuale di economia da cui trarre insegnamento per validare queste sue conclusioni.
Il più cauto e preoccupato appare proprio il Governo, il quale ha avvertito che, se dovessero liberarsi spazi per una maggiore spesa pubblica, essi daterebbero dal 2014 e potrebbero interessare solo gli investimenti. Se, però, per giungere a questo risultato, dovessimo aumentare l’Iva e le aliquote sulle seconde case, non vedo come si possa conciliare il diavolo con l’acqua santa. Per capirlo, il manuale richiesto sarebbe indispensabile.
Spero che sull’analisi dei Servizi della Commissione vi sia un centro studi privato che corregga le talvolta banali analisi avanzate nel documento, come quelle riguardanti la struttura produttiva del Paese, sulla quale questo giornale si affanna a precisarne le differenze, evidenziando la natura dualistica dei tre problemi (competitività, produttività, specializzazione produttiva) che l’avvio dell’euro, di questo euro, ha aggravato (a pagina 8 del documento si dice che «il saldo delle partite correnti dell’Italia si è costantemente deteriorato dopo l’adozione dell’euro»); la politica di austerità fiscale imposta ai paesi in difficoltà ha reso ancora più stringente l’uscita dalla crisi, con una logica punitiva, senza che si sia minimamente provveduto a tracciare un programma europeo comune per raggiungere questo risultato.
Non capisco quale sia il motivo per cui il Paese deve stare zitto o limitarsi a protestare per queste diagnosi parziali (le altre “accuse” sono invece fondate), invece di avanzare un programma che non sia centrato sul rispetto contabile e statico del pareggio di bilancio, invece che sul rispetto economico e dinamico dello stesso.
Ma non è questo l’aspetto più grave dell’analisi della Commissione. Infatti si dice che l’Italia deve garantire il rientro dal debito pubblico con avanzi di bilancio: una vera follia teorica, oltre che una drammatica scelta pratica. Perché non dicono che l’Italia deve cedere il patrimonio pubblico per muovere nella stessa direzione o ricorrere a una decisione di sistemazione puramente finanziaria (e non fiscale), invece di proporre di programmare una politica deflazionistica senza fine che spaccherebbe l’Italia e l’Europa. Sordità o interesse?
Qualcuno ce lo deve spiegare.

Fonte: Sole 24 Ore del 3 giugno 2013

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