• martedì , 26 Novembre 2024

Fissiamo un piano B per i titoli di Stato

I mercati preferiscono il rischio all’incertezza.Allora è meglio stabilire le condizioni di una eventuale riconversione dei debiti.L’importante è non continuare così.
Dopo il declassamento «di massa» del debito sovrano europeo è ormai chiaro – o dovrebbe esserlo – che le incertezze sul futuro dell’euro non si sconfiggono senza creare un’istituzione comunitaria dotata di risorse illimitate o, quanto meno, sufficienti per fiaccare la volontà della speculazione. Anche se la dotazione dell’Efsf, il fondo europeo di sostegno dei debiti sovrani, raggiungesse i mille miliardi, esso non avrebbe questa potenzialità di deterrenza della speculazione, anche se affiancato dai generosi finanziamenti della Bce che inducono le banche ad acquistare titoli di Stato a rendimenti elevati per procurarsi quel profitto che non potrebbero ottenere concedendo credito alle imprese. Se però nel mercato persistesse il sospetto che l’euro non sia in condizione di reggere, questa sarebbe una politica suicida, perché si trasferirebbero i rischi sui debiti sovrani al sistema bancario come già avvenuto con la decisione dell’Eba di compensare le perdite sui titoli di Stato con aumenti del capitale bancario. Questa situazione viene affrontata dalla Bce e dall’Ue affermando che il Trattato non prevede l’eventualità di una fine dell’euro. La mancata previsione di una siffatta possibilità, tuttavia, era giustificata dal fatto che l’euro era stato creato come viatico all’unione politica; non essendosi realizzata questa ipotesi per il rifiuto della Francia (prima) e della Germania (poi, anche se covava da sempre), cambia la sostanza degli accordi europei e si solleva l’esigenza di una diversa governance della moneta europea.
Valutando lo stato dell’indebitamento di alcuni Paesi, Grecia in testa e Italia in coda, e gli effetti delle politiche deflazionistiche imposte dall’Unione europea, forse è meglio dire dell’elettorato tedesco, il mercato se ne infischia della mancata previsione di una fine dell’euro e, finché manca una risposta convincente, sfrutta questa «gallina dalle uova d’oro». Alcuni operatori di mercato, che sanno bene d’essere sulla stessa barca degli Stati, cominciano a domandarsi se non sia il caso che l’eurozona espliciti per tutti i suoi membri un Piano B (che, sia detto per inciso, ho suggerito per primo e per tempo), in modo tale che i possessori di titoli sovrani sotto attacco possano finalmente uscire dall’incertezza in cui versano e calcolare il rischio che corrono, invece di continuare ad allarmarsi per un «salto nel buio» dei debiti privati e pubblici nel caso in cui l’euro si dissolvesse. Oggi il mercato dei derivati valuta la probabilità di default del debito italiano nell’ordine del 30%, riflettendosi in uno spread di 5 punti percentuali tra Btp e Bund decennali. Se si indicasse quale sarebbe la soluzione nel caso della fine dell’euro, le incertezze si attenuerebbero grandemente e il mercato potrebbe fare più esatti calcoli sulle probabilità di perdita. Gli operatori di mercato insistono sulla diversità tra incertezza e rischio, considerando la prima una condizione non valutabile, mentre lo sarebbe in qualche misura la seconda.
L’indicazione di un’ordinata ridenominazione e fissazione di condizioni di conversione di tutti i debiti espressi in euro, non solo sovrani, da parte dei Paesi membri dell’eurozona potrebbe placare le incertezze del mercato, far emergere i rischi di chi non può farcela e consentire alle autorità europee di scegliere gli strumenti adatti nel caso volesse (e potesse, considerati i vincoli posti dagli elettorati nazionali) tenere viva l’idea, ancora valida, di pervenire a un’Europa unita. Così però non si può andare avanti.

Fonte: Panorama Economy del 25 gennaio 2012

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