Ragioni di lavoro – in primis la stesura settimanale di questa rubrica – mi inducono ad una discreta intensità di lettura. In questa stagione la frequenza dei saggi dedicati alla crisi economica suscita inoltre un surplus di preoccupazioni con cui speravo di non dover far conto, almeno in età avanzata. Eppure ci siamo ormai convinti che sono fasi non programmabili della nostra vita; meglio allora approfondire le conoscenze, anche se non sempre piacevoli. Un consiglio che rivolgo anche ai miei coetanei: “Leggete un libro alla settimana, vi farà bene alla salute”.
L’ultimo che ho finito di sfogliare l’ho trovato particolarmente sollecitante. Si chiama “Il grande declino”, ed. Mondadori, pag.132, 17euro. Lo ha scritto Niall Ferguson, un brillante ed acuto storico britannico che insegna Storia moderna alla Harvard University. È chiaramente ispirato da una cultura liberale che traspare sia nelle diagnosi che nelle soluzioni esposte. Rinuncio ad impossibili riassunti e mi limiteròa qualche spunto. La prima parte del saggio è dedicata allo “stato stazionario”, una definizione inventata da Adam Smith per descrivere le condizioni di un paese in precedenza ricco che ha cessato di crescere. Ma se ai tempi di Smith lo “stato stazionario” tipico era considerato la Cina, oggi la definizione si addice a gran parte del mondo occidentale mentre la Cina cresce più rapidamente di qualsiasi altra economia al mondo. La situazione si è ribaltata. La spiegazione del rallentamento del nord del mondo è quella del “deleveraging” (il doloroso processo di riduzione del debito) in dimensioni senza precedenti (nella storia americana è appena la seconda volta che il debito, pubblico e privato, ha superato il 50 per cento del pil) . La tesi del “deleveraging” è che le famiglie e le banche dopo aver puntato follemente sulla crescita infinita del prezzo dei beni immobili, ora cercano di ridurre i propri debiti ma a causa di questo tentativo di spendere meno e risparmiare di più, la domanda aggregata ha subito una forte flessione. L’autore nega e dimostra che non tutto discende dal debito pubblico e per dimostrarlo affronta il tema del decadere delle istituzioni, distinguendo fra istituzioni aperte e istituzioni chiuse (al centro il “rule of law” britannnico), ponendo il quesito se non stiamo assistendo al sostanziale crollo di quello chei nostri antenati chiamavano “ll patto fra generazioni”. Spesso si discute – afferma Ferguson – come se il vero problema fossero i debiti, con il risultato di uno scontro sterile tra i fautori dell'”austerità” e i fautori dello “stimolo”. A me pare invece che i debiti siano la conseguenza di un malfunzionamento istituzionale più profondo. Negli enormi trasferimenti intergenerazionali che le attuali politiche fiscali comportano, si scorge una rottura sconvolgente del patto sociale che presuppone lo Stato come una associazione che estende la sua forza vincolatrice non solo tra quelli che sono viventi in un determinato tempo, bensì tra viventi e trapassati ed anche tra questi e i nascituri. La più grande sfida con cui le democrazie mature dovranno misurarsi sarà quella di trovare il modo di ripristinare il contratto sociale tra le generazioni. Il sistema attuale è fraudolento. Con uno sforzo eroico di leadership si dovrebbero redigere e imporre con regolaritài conti generazionali affinché risultino assolutamente evidenti le implicazioni intergenerazionali delle politiche correnti. Se per contro le democrazie occidentali continueranno l’andazzo attuale, seguendo la Grecia ed altre economie mediterranee nella mortale spirale fìscale, che inizia con la perdita di credibilità, prosegue con l’aumento dei costi dei prestiti e finisce con governi costretti a imporre tagli alle spese e tasse più alte nel peggior momento possibile, in questo caso il finale di partita prevede una qualche combinazione di default e inflazione. Finiremo tutti come l’Argentina.
Finiremo tutti come l’Argentina?
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