di Giuseppe Pennisi
Oggi i mercati potrebbero dare primi segni concreti delle reazioni del mondo finanziario internazionale a quanto avvenuto la settimana scorsa in materia di nomine ai vertici della Banca d’Italia. Una decina di giorni fa, prima che scoppiasse il “pasticciaccio brutto su palazzo Koch”, si era espressa Moody’s in modo poco lusinghiero: il rating sui nostri titoli di Stato restava un BBA2 e l’outlook era negativo. Si dovranno ora esprimere Fitch, Standard & Poor’s e Dagong. Dopo le vicende degli ultimi giorni c’è poco da stare allegri.
Le notizie che filtrano dalle agenzie è che il gruppo dirigente del partito di maggioranza relativa (e quindi il Presidente del Consiglio) non è affidabile. Non si è mai visto in nessun Paese occidentale che a pochi giorni dal rinnovo o meno del Governatore della banca centrale, in spregio alle procedure e alle leggi vigenti, il partito che esprime il Presidente del Consiglio presenti una mozione sostanzialmente di sfiducia nei confronti dell’istituto di emissione e di vigilanza (sul sistema bancario) e ne chieda apertamente la testa del Governatore.
Le procedure di nomina della Banca centrale nazionale variano da Paese a Paese. In alcuni si adottano procedure concorsuali internazionali. In altri la proposta al Capo dello Stato viene fatta dal Premier o Cancelliere d’intesa con il ministro dell’Economia e delle Finanze. In altri ancora la proposta dell’Esecutivo deve essere avallata da un ramo del Parlamento (di solito il Senato). Nel nostro Paese, la procedura è semplice e chiara: sentito il Consiglio Superiore della Banca d’Italia (che spesso esprime una rosa di candidati), il Presidente del Consiglio sceglie e sulla base di una delibera del Consiglio dei Ministri fa una proposta al Capo dello Stato il quale decreta l’incarico. Il Parlamento è stato tenuto fuori per impedire che la nomina di chi ha la responsabilità della stabilità finanziaria sia frutto di negoziati e compromessi politici o peggio ancora di risse tra partiti, movimenti, gruppi e gruppuscoli. Il danno maggiore sarebbe alla stabilità finanziaria; quindi ai risparmiatori e a tutti gli italiani.
La mozione presentata dal Ps (non è chiaro se da tutto il partito o solo da una parte) pone, invece, il Parlamento al centro della procedura. E lo fa in modo goffo. Un alto funzionario della Banca centrale europea nota che adesso ci sarà una forte instabilità sia che venga rinominato l’attuale Governatore, sia che il Presidente del Consiglio ne scelga un altro. Lo stesso funzionario fa notare che è la seconda volta che l’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi prende impegni e non li rispetta. La prima è stato quando ha giurato di lasciare la politica in caso al referendum sulla riforma costituzionale gli italiani avessero risposto No”. La conclusione – termina – è che l’uomo è “del tutto inaffidabile”.
Quello dell’inaffidabilità dell’ex Presidente del Consiglio italiano è un coretto a cappella delle cancellerie diplomatiche e dei Ministeri dell’Economia non solo dell’eurozona, ma anche dei maggiori Paesi asiatici. Molti la pensano come l’ex Ministro delle Finanze Vincenzo Visco, il quale ha scritto in sito web ad abbonamento: “Se non fossimo in Italia, Paese proclive alla demagogia, che esprime una classe dirigente politica mediocre, poco consapevole, e facilmente influenzabile dagli umori diffusi nella opinione pubblica e dagli interessi di consorterie di varia natura, la vicenda della Banca d’Italia apparirebbe surreale, dal momento che la doppia, gravissima crisi economica che ha investito l’Italia negli ultimi 10 anni più di ogni altro Paese (Grecia esclusa), ha prodotto il fallimento solo di pochissime banche medie o molto piccole, eventi trascurabili rispetto a quanto accaduto negli Usa, in Inghilterra, in Irlanda, in Germania, in Francia, in Spagna, in Portogallo, a Cipro…, dove a peraltro a nessuno è venuto in mente di prendersela con i vigilanti”.
“In verità – prosegue Visco -, da questo punto di vista, alla Banca d’Italia e ai suoi Governatori presenti e passati dovremmo erigere un monumento. Si dice che si è vigilato male perché il credito veniva erogato e concesso secondo criteri clientelari e di favore, ma così dicendo si ignora la natura della vigilanza bancaria che in base al diritto vigente (e giustamente) può essere esercitata solo ex post, dopo, cioè, che gli effetti di una cattiva gestione si sono materializzati in concreto. In altre parole, la Banca d’Italia non poteva in punto di diritto, e non doveva in base ad una corretta interpretazione del funzionamento di un’economia di mercato, sindacare i criteri con cui le banche erogavano il credito e che sono stati alla base di alcuni fallimenti; le responsabilità dei banchieri e dei vigilanti sono e vanno tenute separate. Si può anche dire che se non vi fosse stata la seconda grave crisi economica, nessuna delle banche coinvolte sarebbe fallita, e i banchieri avrebbero potuto continuare i loro traffici e le loro malversazioni del tutto impunemente.
È la gravità della crisi ad aver fatto ‘saltare il tappo’, e la Banca d’Italia non poteva farci niente. Siamo quindi in presenza di un attacco gratuito contro l’unica Istituzione italiana che sembra ancora in grado di reggere all’urto dei tempi attuali”.
Sono parole da sottoscrivere in attesa che chi ha dato la patente di “inaffidabilità ” all’Italia faccia il passo indietro annunciato e si ritiri a vita privata.
Fonte: Il Sussidiario di oggi 23 ottobre 2017