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Ferrovie, Mose, Sud ecco il piano Passera

Il primo passo è una delibera del Cipe che vale 3,3 miliardi di euro, almeno uno dei quali potrebbe diventare cantieri, lavoro e occupazione già nel 2012. Il grosso però deve ancora arrivare, si tratta dei progetti finanziabili con soldi privati che aspettano solo il via libera del governo. Quasi 28 miliardi di euro in opere autostradali, aeroportuali e portuali che potrebbero diventare investimenti immediati per 5 miliardi. Per farli partire non basterà però la determinazione del governo.
Ma cominciamo dall’inizio. L’acronimo Cipe sta per Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, ma nella gestione del duo BerluscioniTremonti si è trasformato in una vetrina, una fiera di annunci, lo strumento per conquistare ottimistici titoli di giornali e telegiornali e per rafforzare nell’opinione pubblica l’immagine del “governo del fare”. Era invece il “governo del dire” e l’utilizzo fatto del Cipe ne è una delle più plastiche rappresentazioni. Il metodo, che per giustizia va attribuito al ministro Tremonti, funzionava così: il Cipe delibera investimenti miliardari in grandi e piccole opere pubbliche, la decisione viene ampiamente pubblicizzata, la delibera impiega sei mesi per essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale (e così già 180 giorni sono passati) e infine, colpo d’artista, il ministero dell’Economia blocca i fondi (notizia questa che non viene pubblicizzata). Intanto tutti hanno dimenticato i gloriosi annunci della delibera precedente e il Cipe con il duo alla guida può rilanciare i suoi fasti con nuove entusiasmanti delibere. L’esito di tutto ciò è che di quello che decide il Cipe nessuno si fida più, perché non si sa se resterà sulla carta o diventerà strade, ponti e ferrovie. Così quando la settimana scorsa il Cipe, il primo del nuovo governo, ha deliberato investimenti per 3,3 miliardi di euro, gli applausi sono stati tiepidi. La novità dicono gli addetti ai lavori, non sta nel fatto che abbia deciso qualcosa, lo hanno fatto decine di Cipe precedenti, la novità ci sarà solo se, finalmente, arriveranno i soldi e se arriveranno in tempi brevi e certi.
3,3 miliardi non sono una cifra da far saltare sulla sedia, e tuttavia sono, se si dimostreranno reali, il primo segnale di un’inversione di tendenza. Importantissima per l’economia del paese e per quella del settore che ha visto crollare gli investimenti pubblici del 38 per cento negli ultimi tre anni e che ora boccheggia. Sono importanti per il paese perché, secondo le valutazioni europee, ogni miliardo investito in opere pubbliche determina un moltiplicatore di 3,5 volte, alla fine cioè fa girare 3,5 miliardi, e perché crea, sempre secondo le valutazioni europee, 18 mila posti di lavoro. Se i 3,3 miliardi deliberati la settimana scorsa venissero effettivamente spesi tutti e subito, cioè entro il 2012, determinerebbero attività economiche per oltre 10 miliardi di euro, pari allo 0,66 per cento del pil e creerebbero 54 mila posti di lavoro.
Ma andiamo a vedere nello specifico cosa, se i tempi e i modi fossero rapidi ed efficienti, dovrebbe accadere. Del totale di 3,3 miliardi 919 milioni vanno al secondo lotto dell’Alta Velocità Treviglio Brescia (sull’asse Milano Verona) e 1,1 miliardi al secondo lotto dell’Alta Velocità Milano Genova (segnatamente al terzo valico, quello dei Giovi). I primi lotti di queste due tratte ferroviarie sono in partenza e i secondi potrebbero partire entro il primo semestre del 2012 per poi spalmarsi nei successivi 4 anni. Ottimisticamente si può immaginare che entro la fine di dicembre dell’anno prossimo dei 2,1 miliardi complessivi ne saranno messi in movimento fra i 200 e i 400 milioni. Un’altra delibera, sempre all’interno di quei 3,3 miliardi, assegna 600 milioni per il nono lotto del Mose, l’opera che dovrebbe evitare l’acqua alta a Venezia. Andranno a finanziare prevalentemente opere meccaniche e potrebbero essere spesi in parte sostanziale entro il nuovo anno. Poi ci sono circa 600 milioni (esattamente 598) per opere medie e piccole che l’Anas può cantierare rapidamente e quindi anche questi denari potrebbero essere impiegati entro il 2012. Infine altri 123 milioni saranno affidati al Provveditorato per le Opere Pubbliche per interventi prevalentemente su edifici pubblici da effettuare in Sicilia e in Calabria. Anche questi potrebbero essere spesi rapidamente. Nel complesso, e nell’ipotesi più ottimistica, qualcosa più di un miliardo potrebbe essere investito nei prossimi 12 mesi, mettendo in moto attività economiche per 3 miliardi e mezzo, ovvero quasi un quarto di punto di pil, nonché dare lavoro a 1820 mila persone. Non è molto, ma è già qualcosa più di una gocciolina.
Il decreto “salva Italia” contiene poi una serie di interventi per snellire le procedure, ridurre il carico fiscale, favorire la partecipazione del capitale privato alla costruzione di infrastrutture. Primi passi, la cui timidezza può essere spiegata con lo scarso tempo a disposizione dall’insediamento del governo e con il fatto che il governo stesso è stato concentrato soprattutto sul drastico piano di azzeramento del deficit di bilancio. Infatti, nei commenti, prevale l’attesa alla soddisfazione: «Si è lavorato alle cose che già erano sul tavolo dice il presidente dell’Ance (i costruttori) e di Federcostruzioni (che riunisce tutti i settori della filiera) Paolo Buzzetti aspettiamo il resto. Intanto apprezziamo il segnale di superamento dell’ultima fase del governo precedente che aveva bloccato investimenti ai quali invece prima aveva detto sì». Di cose da fare secondo Buzzetti ce ne sono molte e su quelle si attendono le risposte: «L’intervento sull’Ici è un duro colpo per l’edilizia abitativa, ma l’edilizia può dare una grande contributo alla ripresa con il Piano per le città, il cui pacchetto normativo già esiste, e che punta al risparmio energetico e alla ristrutturazione degli edifici. Poi, anzi prima, c’è la grande opera più urgente di tutte, come dimostrano le tragedie degli ultimi mesi: il risanamento del territorio. Quindi c’è la necessità di allentare i vincoli del Patto di Stabilità interno per i comuni virtuosi e per quelli anche non virtuosi nei cui territori sono necessarie opere urgenti per evitare il dissesto idrogeologico».
In realtà, sostiene un operatore di lungo corso nel settore delle infrastrutture, il compito di Corrado Passera potrebbe essere il più facile rispetto a quello degli altri suoi colleghi ministri, perché il rallentamento degli ultimi anni ha consentito di portare a conclusione o quasi la progettazione di opere autostradali, aeroportuali e portuali realizzabili per la grandissima parte con capitali privati, per un ammontare totale di oltre 25 miliardi di euro. Basterebbe decidere in fretta, sostiene l’operatore di lungo corso, per farne decollare una parte, qualcosa come 5 miliardi di euro, già entro il 2012. E 5 miliardi di euro di investimenti, secondo quel moltiplicatore di cui sopra, vogliono dire 18 miliardi di attività economiche, oltre un punto di pil, e 90 mila posti di lavoro. Liberare la strada dagli ostacoli è la missione di Passera, quella sulla quale sarà misurata la sua esperienza ministeriale e segnerà il successo o l’insuccesso del governo Monti nel promuovere la crescita.
Il fatto di trovare tanta roba nel cassetto è un buon punto di partenza e la buona volontà del governo di fare il possibile la possiamo dare per scontata, va misurata invece la capacità di rendere adatte al secolo in cui viviamo le procedure ottocentesche che bloccano questo paese. Ma anche se il successo su questi fronti fosse pieno, il rischio è che a mettere i bastoni tra le ruote sia la finanza. Ci sono progetti avanzati, come la Brebemi e le altre opere lombarde, o come l’ampliamento del porto di Monfalcone, e tanti altri i cui piani finanziari sono stati elaborati e approvati quando il contesto era diverso, quando le banche avevano soldi da investire e il costo del denaro era di 4 o 5 punti più basso. Ai tassi di interesse attuali nessuno di quei piani finanziari è più sostenibile. E se il costo del denaro e la capacità di credito delle banche rimanesse a lungo nelle condizioni attuali la prospettiva di quei 25 miliardi in progetti già belli e pronti è di essere rinviati a data da destinarsi.«La garanzia pubblica sulle obbligazioni bancarie fa ben sperare» commenta Buzzetti. Ma su questo terreno lo sforzo dell’Italia non basta.

Fonte: Affari e Finanza del 12 dicembre 2011

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