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Export di armi, il governo vuole mano libera sulla legge

L’occasione è il recepimento di una direttiva comunitaria: l’esecutivo vuole una delega legislativa. Rete Disarmo e Tavola della Pace: “Non si tocchi una materia del genere senza un dibattito pubblico”. Intervista al coordinatore Flavio Lotti. Oggi manifestazione davanti al Senato.
“C’erano voluti più di cinque anni di mobilitazione e di battaglie della società civile, del mondo cattolico, dei progressisti, per far approvare una legge che regolamentasse il commercio delle armi. Una buona legge, anche se qualcosa andrebbe rivisto. Adesso il governo pensa di cambiarla facendosi dare una delega, senza un dibattito pubblico e senza esame del Parlamento? Non è possibile, questo è un colpo di mano”. Flavio Lotti è il coordinatore nazionale della Tavola della Pace 1. Assieme alla Rete per il disarmo 2 c’è una pressione sul Senato per sensibilizzare parlamentari, giornalisti e opinione pubblica su quello che sta accadendo, in un ambito della produzione industriale e dell’economia che anche in momenti di crisi non mostra mai difficltà e che s’inserisce come soggetto decisivo negli scenari geopolitici dove a rimeterci sono soprattutto i poveri e i senza diritti.
Cosa sta accadendo, Lotti?
“Che si vuole cambiare una legge che regolamenta un argomento così delicato senza discuterne con nessuno, quasi alla chetichella. Il 5 settembre scorso era stato depositato un disegno di legge delega con la motivazione di armonizzarla con una direttiva europea in materia. Ora, già una legge delega significa che il governo fa tutto da solo, senza un dibattito parlamentare, senza un confronto con la società civile. Ma poi si è fatto ancora peggio: il disegno di legge è diventato un emendamento alla cosiddetta “Comunitaria”, una legge-omnibus che tratta delle materie più disparate e che spesso, in casi analoghi, è stata approvata a colpi di fiducia. Quindi, discussione zero,trasparenza zero”.
Ma se c’è una direttiva europea bisognerà recepirla,no?
“Certo, e su questo non abbiamo nulla da obiettare. Però si parla anche di snellimento delle procedure, di razionalizzazione dei controlli. Tutto bene, ma vorremmo sapere come, che cosa si ha intenzione di fare. La legge attuale, la numero 185 del 1990, è una buona legge, all’avanguardia in Europa, tanto da essere additata come modello. Però qualcosa da rivedere c’è, vent’anni di esperienza ci hanno fatto vedere che ci sono alcune maglie da stringere, non certo da allargare”.
Quali sono i limiti posti dalla legge?
“Essenzialmente due: non si possono vendere armi a paesi che non rispettano i diritti umani e a paesi in guerra. Ma in questi anni abbiamo venduto armi a paesi come Iraq, Libia, Arabia Saudita, Pakistan, Turchia, per citarne solo alcuni (e comunque il nostro export è per il 90% nel Terzo mondo); quindi è evidente che se le scappatoie si vogliono trovare si trovano. Del resto, non si vendono armi senza che ci sia un accordo politico tra i governi. Ecco, è a questi problemi che bisognerebbe metter mano, ma il nostro timore è che invece si vada in direzione contraria, verso un allentamento dei controlli”.
Forse con la crisi sono aumentate le pressioni da parte delle aziende del settore. Come se la passano?
“Dopo la caduta del Muro di Berlino c’è stata in tutto il mondo una contrazione delle commesse governative. In Italia gli addetti sono calati da 190.000 a 120-130.000. Sono cifre non ufficiali, in questo settore è difficile avere informazioni precise, anche perché molte aziende hanno una produzione sia civile che militare e non è facile distinguere. Ma i numeri più o meno sono quelli”.
Qundi potrebbe essere quello il motivo?
“Attenzione, il volume delle commesse è diminuito, ma la spesa è fortemente aumentata. Ormai le armi hanno un grande contenuto tecnologico e costano carissime. Le esportazioni di armi italiane vanno a gonfie vele: +60% di autorizzazioni nel 2009 con il record di 4,9 miliardi di euro autorizzati, e così anche le consegne effettive di sistemi d’arma (si arriva a 2,2 miliardi di euro). Per di più, l’Italia ha guadagnato posizioni nel commercio internazionale: era al 7°-8° posto, ora è al 4° o 5°. Sono dati del Congresso Usa, perché qui da noi non ne vengono diffusi. Anzi, da tre anni la presidenza del Consiglio ha smesso di fornire l’elenco delle banche che finanziano queste operazioni.Non sono buoni segnali, per questo siamo preoccupati”.
E quindi quali sono le vostre richieste?
“Che non si tocchi questa materia attraverso una legge delega, cioè senza dibattito pubblico. Che si colga l’occasione del recepimento della direttiva comunitaria per migliorare i controlli e stabilire che venga diffusa una migliore informazione. Infine, sì al recepimento della posizione comune europea sugli intermediari di armi, ma solo se anche le armi piccole o leggere saranno ricomprese nella stessa normativa”.

Fonte: repubblica del 23 novembre 2010

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